Un forestero!
Come introdurre la recensione di un titolo come Resident Evil 4, produzione di certo non nuova ai possessori di console Nintendo? La storia parla chiaro: dopo strette di mano storiche che lasciavano intendere un futuro roseo per Nintendo e Capcom, la realtà ha picchiato forte su quello che alla fine si è rivelato un sogno da fanboy. I Fabulous 5 che diventano 4, le esclusive che si spalmano su tante piattaforme e il grande capolavoro di Shinji Mikami che si tramuta in quello che è probabilmente il titolo più convertito di sempre. Roba che Skyrim levati.
La domanda, a questo punto, è una: vale la pena intraprendere nuovamente il viaggio tra folli villici e parassi mutanti attraverso lo schermo della nostra console ibrida?
Siamo nel 2019 inoltrato, in una controversa epoca in cui remaster e conversioni sono il pane quotidiano. Alcune generazioni ormai sembrano lontane, distanti, e per questo certi titoli sono una manna per chi non c’era o era troppo piccolo per apprezzare i capolavori del tempo. Allo stesso tempo, però, tutte le persone che c’erano ed erano consapevoli oggi si trovano ad affrontare l’ardua sfida dell’abbandono della nostalgia, condizione necessaria per valutare OGGI un titolo leggendario come Resident Evil 4.
All’epoca fu un uovo di Colombo, una rivoluzione generata con una semplicità disarmante: i controlli “tank” si trasformavano semplicemente spostando la telecamera alle spalle del giocatore e aggiungendo un sistema di mira. Chi l’avrebbe mai detto che ciò avrebbe portato alla rinascita del franchise in un contesto a telecamera libera?
Riprendendo in mano il survival horror che fu esclusiva Gamecube è evidente che di tempo sia passato e a tratti l’inevitabile incedere degli anni si sia dimostrato inclemente; il giocatore moderno è abituato all’estrema mobilità e al dual analog, nonché ad un grado di visibilità totalmente legato al proprio piacere. Resident Evil 4 invece incastra nella sua visuale ravvicinata e cinematografica, lasciando solo ad estemporanei istanti la possibilità di osservare ciò che ci sta attorno. Panico da remaster, nei primi istanti di gioco, che ci vedono tornare a fare pratica con sistemi di controllo ormai anacronistici.
Detrás de tí, imbécil!
Facendo affidamento alla memoria tattile e alle proprie abilità di giocatori si supera presto questa fase e si torna ad apprezzare ciò che ha resto grande questo gioco all’epoca, al netto dello spettacolare lato tecnico e le innovazioni: Resident Evil 4 è un titolo costruito in modo praticamente perfetto per ciò che concerne progressione, ritmo, varietà e difficoltà, capace di sorprenderti in ogni momento con nemici totalmente nuovi, QTE, orde o l’introduzione di nuove armi. Si va avanti veloce nella bagarre con i nemici per poi fermarsi per cogliere ogni dettaglio o evitare di perdere i segreti, perché pur trattandosi di action abbiamo comunque tra le mani una produzione che punta a farsi giocare e rigiocare.
Il nostro caro Leon Kennedy ha avuto il suo bel da farsi dopo gli eventi di Resident Evil 2 per diventare un soggetto preparato e pronto ad una nuova crisi. In questa occasione è il governo americano a muoverne i passi, mandandolo in avanscoperta in un non meglio precisato paese europeo piuttosto “spagnoleggiante”. L’obiettivo è la figlia del presidente, Ashley, misteriosamente scomparsa.
Come prevedibile – dopotutto stiamo parlando di un Resident Evil – qualcosa va storto, e il paesino rurale potenzialmente inoffensivo è in realtà l’anticamera per un distorto mondo fato di sette, esperimenti genetici e villain usciti dalle peggiori fantasie anni ’80/’90. Il tutto però funziona, compreso il grottesco crescendo che ci porta da scontri tra fieno e galline contro normali umani ad mostruosità di ogni genere che ci attendono in lussureggianti edifici o laboratori segreti.
In questo cammino non è solo l’esperienza a determinare le nostre possibilità di successo, ma anche la capacità di raccogliere tesori e trattare con il misterioso mercante che ben presto farà capolino tra un vicolo e l’altro. Espandere l’inventario è solo l’inizio, perché ogni arma è potenziabile per capienza, rateo di fuoco e potenza, variando in modo sensibile il nostro approccio alla battaglia. Non mancano extra ottenibili soddisfacendo condizioni in-game o al completamento della trama principale.
Ogni barile, cassa, armadio, animale (sia un corvo, una gallina o un pesce) può nascondere fondamentali munizioni o moneta di gioco, così come cure che vanno a integrare i classici mix di erbe o gli spray. La sopravvivenza passa anche dall’attenzione a ciò che ci circonda, oltre che all’abilità con le armi da fuoco. E ad un certo punto, in questa costante ricerca del dettaglio e del segreto, il giocatore viene rapito e si perde. Meravigliosamente inebetito, si risveglia di fronte alle micidiali minacce del gioco e le creature gargantuesche.
Inutile negarlo, però: per quel che concerne i controlli e la libertà di controllo della visuale c’è da rassegnarsi a tornare mentalmente indietro di un paio di generazioni per riuscire a far funzionare nuovamente il brillante impianto creato da Capcom. La sensazione di “sacrificarsi” però può essere deterrente concreto a chi cerca un titolo molto fruibile, oltre che funzionale.
Personalmente, la visuale fissa che torna sempre al centro quando proviamo a guardaci intorno è davvero un bel mattone da digerire. Allenamento e affetto per il titolo (finito parecchie volte all’epoca) mi hanno però guidato verso un gradito ritorno alle origini.
Morir es vivir
Considerando come quella tra le mani sia la versione finale e completa del titolo, con tanto di “Separate Ways” in cui prendere il controllo dell’affascinante Ada Wong, forse val bene la pena impegnarsi per tornare a fare strage di plagas. La stessa trama principale tutt’oggi è ricca di variazioni nelle sfide e reinterpretazioni di temi classici, quasi da esempio per ogni successore – della saga e non.
Resident Evil 4 era riuscito a far funzionare le “escort mission”, facendoci prendere cura di un personaggio indifeso senza farci necessariamente sentire impotenti di fronte ad una voglia di morire solitamente propria delle IA companion. Aveva introdotto, marginalmente, elementi di persistenza con le scelte fatte nel gioco, così come le scene segrete attivate da azioni specifiche. All’apparenza semplice e guidato, il gioco è in realtà ricolmo di contenuti per chi volesse spolparselo.
Tecnicamente c’è ben poco da dire, in quanto Nintendo Switch riesce a riprodurre in modo convincente e senza sensibili intoppi la versione ad alta definizione apparsa anche sulle piattaforme della concorrenza. Le incertezze si possono riscontrare in ambito framerate, che può staccarsi dalla sacra quota 60 nelle situazioni più concitate – sebbene non sempre e non in modo grave. Ciò che spiace è l’assenza di “extra” legati alle potenzialità della macchina, come ad esempio i sensori di movimento. La loro assenza, in particolare dopo aver provato l’efficace implementazione in Resident Evil Revelations, lascia piuttosto straniti e dona l’impressione di un prodotto realizzato piuttosto in fretta.
Nel complesso rimane comunque una produzione originariamente fantastica e che si ripropone su console Nintendo in alta definizione e con tutti i crismi, in una versione ideale per rivivere un pezzo di storia del Survival Horror e di Nintendo stessa. Consigliatissimo!