All the hands on the deck!
Quando tutto era più semplice (e quando di preciso?) ci si appassionava anche alle software house, oltre che ai singoli giochi. Si parlava di “scuola Konami”, “stile Taito” o di “magia Capcom”, o per dirla in maniera più concreta, ogni azienda infondeva delle caratteristiche distintive nelle proprie opere, magari eravamo troppo piccoli per capirlo, eppure se lo start screen era preceduto da quel logo lì, eravamo già presi bene. Oggi quelle software house sono fiere dai mille volti, annegano nei propri fatturati, e devono produrre tanti giochi, di tanti generi diversi, affidati a team differenti, che non comunicano con altri dipendenti della stessa azienda, anche se magari lavorano nella stessa struttura.
La svedese Image & Form sembra un’anomalia temporale ancor prima di un team indie. Non più un team così piccolo, ma così considerato per la media del mercato che sforna tripla A, Image & Form ha dato vita a una saga, SteamWorld, che è partita con un tower defence, è esplosa con due metroidvania (SteamWorld Dig) e ha dato vita a un ottimo strategico (SteamWorld Heist) e adesso siamo davanti a un gioco di ruolo con battaglie gestite tramite un card system. La cosa che sembra anacronistica è che nonostante i tanti generi toccati, ognuno di questi giochi è un titolo main della saga, che quindi resta riconoscibilissima in ogni iterazione per diversi motivi, dalla trama (sebbene ogni gioco sia ambientato in un’era diversa e non strettamente legato uno all’altro) e narrazione, sempre ricca di citazioni e umorismo, alle tecniche grafiche, che vedono largo utilizzo di disegni fatti e colorati a mano, alle atmosfere steampunk che ritraggono un mondo popolato da robot che forse sono più umani di chi è fatto di carne e sangue.
Se il mondo di SteamWorld ha un’identità ben precisa, Steamworld Quest – Hand of Gilgamech non fa eccezione e ogni pixel di cui è fatto ritrae a tinte acquerellate l’amore che ogni singolo dipendente di Image & Form prova per il proprio lavoro e le proprie creature, che deve essere enorme quasi quanto quello per la tradizione videoludica, tanto che sembra davvero di trovarsi di fronte a un gioco di origine nipponica. Armilly e Copernica sono due amiche robot, la prima è una svampita (aspirante) avventuriera, dal fisico prestante e dai modi irruenti, la seconda è una novella alchimista, piccola e pragmatica, ma con un animo sensibile, praticamente la mente e il braccio. Con una storia che si dispiega in capitoli, come la più bella delle fiabe, ovviamente il primo di questi non può che essere introduttivo per le meccaniche, leggi bene alla voce “card driven”.
Non mancano certo punti esperienza da acquisire ed equipaggiamento da comprare, ma la meccanica regina è il deck building e il combattimento gestito con le carte (perforate, per essere coerenti con il tema steampunk!). Il party è composto da tre personaggi, ognuno dei quali metterà 8 carte al servizio del nostro mazzo di 24 carte. A inizio turno è possibile cambiare fino a 2 carte della nostra mano di 6 carte, dopodiché è possibile selezionare fino a 3 carte da giocare. Le carte attacco o potenziamento quando giocate generano pressione di vapore, che può essere usato per giocare carte abilità, che hanno un costo variabile, secondo la loro potenza. Imperativo di ogni deck building che si rispetti (da Magic, passando per Dominion per citare due mostri sacri dei giochi di carte fisici) è costruire un mazzo fluido, che non si incarti da solo dandoci una mano non giocabile poiché troppo onerosa in costi.
Altrettanto essenziale è inanellare più combo possibile, e in SteamWorld Quest ci sono due modi per farlo: si possono giocare tre carte dello stesso eroe, creando così una sequenza eroica che permetta di giocare una quarta carta, stabilita dall’arma equipaggiata, oppure innescare la combo tag team, che permette di aumentare la forza di una carta se giocata dopo la carta di un altro eroe (specificato nella carta ovviamente). Le velleità tattiche non finiscono qui: infatti, sebbene ci siano alcune carte decisamente forti o addirittura indispensabili, è importante azzeccare la sequenza corretta con la quale si sceglie di giocare le carte, ed è impossibile ignorare le alterazioni di stato (buff e debuff) anche per chi è generalmente portato a prediligere brutali attacchi fisici.
I personaggi poi hanno il loro ruolo ben specifico: Armilly gioca prevalentemente attacchi fisici e boost di statistiche, ed è quella che può sopportare più punti ferita, Copernica è la maga tutta incantesimi elementali, Galleo è un tank con alcune carte di guarigione. A loro si aggiungeranno anche Orik, un misterioso guerriero che usando maschere ornamentali varia stile di combattimento, e una coppia di personaggi di cui non spoilerizzo. Alcune carte hanno anche degli effetti collaterali, ma potrebbe avere senso inserirle nel mazzo, a seconda di come si vuole giocare o delle qualità dei nemici. Insomma, c’è davvero tanta, tantissima varietà, e questo rende sempre interessante e viva l’azione di gioco. Io sono il più pigro dei giocatori, quello che quando il mio mazzo gira bene, non cambio nulla. Eppure a ogni carta nuova, o a seconda del nemico, sono stato condotto più volte a mettere in questione la qualità del mazzo, a introdurre nuove carte a discapito di altre, e più la sfida si fa tosta, più ogni scelta pesa.
Image & Form però non ha solo costruito un gameplay solido e profondo, ma anche facile all’approccio: non si sente assolutamente nessuna fatica nell’iniziare a giocare, ogni cosa è ben illustrata, ogni spiegazione è semplice e sempre consultabile, e i menù sono molto intuitivi e ben integrati con la trama. Anzi, sono anche le carte stesse a essere integrate alla perfezione, perché non solo è possibile forgiarle (e potenziarle!) da un mercante o trovarle in giro nei forzieri, ma alcune ci verranno date in momenti topici della storia, quando un personaggio è protagonista di un avvenimento importante a livello personale, con addirittura le illustrazioni della carta che rievocano quel momento, allontanando la sensazione di smarrimento dovuta all’associare qualcosa di fisico come una scontro armato a qualcosa di riflessivo come un gioco di carte. Questo rende SteamWorld Quest il gioco perfetto per chi vuole giocare un rpg con card system o un card game, ma finora ha sempre rimandato.
Sull’altare del battle system però, gli sviluppatori svedesi hanno dovuto sacrificare qualcosa, soprattutto in termini di complessità. Se infatti il combat system è sfaccettato e pieno di possibilità, il level design scorre liscio proponendo mappe composte da stanze collegate tra loro, a volte anche in maniera interessante, ma in definitiva l’andamento è abbastanza lineare. Non mancano puzzle ambientali o piccoli segreti, o ancora bivi, a vivacizzare un po’ le cose, ma in generale è impossibile perdersi. Non si può parlare di mancanza di coraggio, ma di una scelta strutturale ben precisa che mi sento di condividere, ma che devo segnalare per onor di cronaca, in caso ci sia aspetti di spremersi le meningi in dedali inestricabili. La trama poi ci ripropone un canovaccio tipico del genere, con buoni sentimenti e colpi di scena troppo leggeri per essere memorabili, ma anche qui si può parlare di scelta: si è preferita una narrazione semplice e frizzante, piena di gag intelligenti che vedono protagonisti personaggi, questi sì, memorabili, sfaccettati e carismatici, con un gran carattere messo in luce da animazioni deliziose. Forse si può recriminare su un po’ di ripetitività di azione e di alcuni nemici (classico palette swap e statistiche più alte) nella parte centrale del gioco, che però è ben lungi dal tedio.
SteamWorld Quest: Hand of Gilgamech, infine, soddisfa anche per quantità, con le sue circa 15/20 ore per completarlo, per poi dedicarsi a recuperare forzieri (e carte) tralasciati, sfide nel Colosseo dei maledetti, e tre livelli di difficoltà tra cui scegliere. Forse non ci sono i momenti aulici che ci si aspetta da un RPG, ma è palpabile la qualità e l’amore che gli artisti di Image & Form hanno infuso in Steamworld Quest. Palpabile grazie ai disegni che lasciano trasparire tratti e pennellate, alle musiche che compongono una colonna sonora perfetta, in grado di sottolineare momenti drammatici come la frenesia dei combattimenti, e un combat system semplice ma ricco, incastonato in un’avventura che durando il giusto (anzi, molto di più per la media degli indie) risulta appassionante e divertente fin da subito, senza che la verve si perda per strada prima del boss finale. Un gioco di ruolo svedese che avrebbe potuto essere tranquillamente giapponese, con frame rate ancorato a 60 fps e… State ancora leggendo? Ma non avete proprio capito niente!