La grafica avanzata ha ucciso l'immaginazione dei giocatori?

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C’era una volta un mondo pixeloso…

Passano gli anni e mi avvicino sempre più ai fatidici “enta”. Eppure il mio amore per i videogiochi non si è ancora dissipato, semmai è l’esatto contrario. Le volte mi guardo indietro, penso a quand’ero bambino, sotto le coperte, al buio. Col mio Game Boy Color. Sì, avevo dotato la mia prima console portatile di tutto l’equipaggiamento necessario per giocare di notte: lucina succhia-pile, lente d’ingrandimento e cuffiette.
Giocavo a Pokémon Argento, se mai ve lo steste chiedendo. Ho iniziato con la seconda generazione. Sempre e solo Pokémon fino all’era Advance. Del resto potevo chiedere un gioco l’anno ai miei e la scelta ricadeva sempre sui mostriciattoli tascabili. Devo molto alla serie di Game Freak. Perché al di là del divertimento che potevo trarne, mi ha aiutato a mettere in moto l’immaginazione. Quei 160 x 144 pixel non permettevano di costruire mondi elaborati e ricchi di dettagli, l’alta definizione non era nemmeno stata concepita. Quindi, nell’ottica d’immergersi in una grande avventura, c’era da viaggiare un po’ con la mente. Un po’ tanto.


Una pozza di pixel blu, un parato di rocce tutte uguali e due sprite brutti brutti. Però, di fronte a Lugia, ti sentivi in soggezione.


Potrei tornare ancora più indietro, all’età di cinque o sei anni. In Super Mario Bros. per me era già un’impresa superare il primo livello. Ma affrontare il secondo era quasi una tortura. Perché, vallo a spiegare, saltellare su quello sfondo tutto nero, in compagnia di tartarughine e funghi deformi, mi terrorizzava. Anche la musica ci metteva il suo, ma era la mente a fregarmi. Costruivo intorno ad un semplice stage sotterraneo un mondo abitato da spettri, piante assassine-zombie e quant’altro.
Mi chiedo, proiettando la mia infanzia quindici anni nel futuro, come avrei vissuto un’ambientazione simile in presenza di un comparto grafico un pelo più elaborato. Forse avrei dormito sonni tranquilli, però mi sarei perso quel brividino ogni volta che imboccavo quel maledetto tubo. Sensazione che oggi ricordo con piacere.


Come l’avrei vissuta? Molto meglio, senza dubbio. E in questo caso il salto temporale non è nemmeno dei più clamorosi.


Mi chiedo anche se riuscirei a tornare indietro, a dirla tutta. Perché ok la nostalgia, ok i ricordi dolci-amari, ok la storia dei videogiochi… ma sappiamo tutti che anche l’occhio vuole la sua parte. Quindi, da un certo punto di vista, invidio i bambini dell’epoca moderna: alla stessa età del piccolo me che si sforzava di accostare lo sprite di un Pokémon alla sua versione animata, loro portano a spasso Eevee in un bosco che sembra veramente un bosco. Con tanto di creature ambulanti a rendere l’esperienza ancor più immersiva.
Eppure, il Marco adulto, che da bambino si è dovuto accontentare di una manciata di pixel pur di vivere un’avventura significativa, nel profondo sa quanto sia stato un bene vivere quell’epoca. È stato un bene trasformare quel nonnulla in un viaggio indimenticabile. Qualcuno più grande di me potrebbe avere da ridire, e a ragione pure. Una cosa tipo questa: “Quando giocavo io c’erano due barrette ai lati dello schermo che colpivano un quadratino bianco. Non c’erano nemmeno le basi per immaginarsi qualcosa”.


E come dargli torto.


Mi trovo spesso a parlare con videogiocatori che magari hanno vent’anni in meno sulle spalle. Sanno riconoscere la grafica bella da quella brutta. Il punto è che per me non si tratta di bello o brutto. Si tratta di nuovo e vecchio. Un bambino nato nel secondo millennio, invece, ha come standard di riferimento il 1920×1080. Quindi il vecchio è brutto. Ci resti un po’ male quando viene denigrata la tua infanzia. E ti senti anche scemo ad esserti fatto i tuoi bei viaggetti mentali, sotto le coperte.
Sono dell’opinione che i bambini non dovrebbero mai smettere di sognare, di fantasticare. Nemmeno gli adulti, in realtà. Stimolare l’immaginazione rafforza la mente. Permette di elaborare pensieri complessi. Certe volte aiuta a prevedere lo svolgersi degli eventi o a prepararsi in vista di un momento difficile. Ma come si può stimolarla quando al giorno d’oggi a stento si riesce a distinguere quel che è reale da quello che non lo è? Come si può coltivarla con l’aiuto dei videogiochi? Ok, ci sono gli indie in pixel art, ma quanti sono i bambini che li giocano?


Oggi possiamo avere Breath of The Wild e il bambino che è in me non riesce a capacitarsi di tanta bellezza. C’è tutto ciò che serve. Tutto e anche più.


Non voglio fare la morale a nessuno, sia chiaro. Anche io resto pietrificato di fronte agli incredibili passi avanti che ha compiuto la tecnologia nell’industria. Alcuni dei miei giochi preferiti hanno il graficone. Paradossalmente, i professionisti dotati di una fervida immaginazione oggi possono dare vita a mondi incredibili. In cuor mio esulto, perché da piccolo sognavo di avere tra le mani una dimensione virtuale quanto più simile a quella reale.
Poi però mi chiedo se non sia un po’ troppo. Non si rischia, in questo modo, di adagiarsi sugli allori? Non so, è come vincere facile. Ecco il tuo fantastico mondo, bello e pronto per essere esplorato, per essere vissuto: tieni pure spenti i neuroni. Ci vorrebbe una sorta di gavetta, dico io. Ma probabilmente è solo la vicinanza agli “enta” che mi fa parlare così. O forse sono solo invidioso. E vecchio. E per la proprietà transitiva anche brutto.
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