Non è mai troppo tardi. Forse.
Certi giochi sono fatti per rimanere nel passato, ancorati al tempo che fu da meccaniche e design poco adatte a rivisitazioni di sorta siano queste remaster o remake. Certi giochi invece provano a fare capolino sulle console della generazione corrente facendo leva puramente sull’effetto nostalgico, offrendoci esperienze limitate e discutibili.
Poi ci sono quei giochi che, vai a capire come, si ripresentano tali e quali alla loro prima apparizione dopo quasi vent’anni e – grazie a Nintendo Switch – diventano esperienze che vale la pena rivivere. Come nel caso di Onimusha: Warlords, che ritorna sugli scaffali (digitali) dopo 18 anni incastonandosi in modo decisamente efficace nell’offerta ludica della console.
Bizzarro, vero?
Blast from the past
Il preambolo scelto per questa recensione solleva qualsiasi suspense sulla valutazione del titolo, che mi ha evidentemente soddisfatto… ma in una chiave di lettura non necessariamente spendibile per qualsiasi lettore: cosa questo voglia dire lo scoprirete continuando a leggere (non sbirciate in fondo, eh!), tenendo presente che appartengo ad una categoria di giocatori che ha visto nascere, crescere e mutare il genere dei survival horror, come dei giochi 3D con fondali prerenderizzati, e che ha avuto occasione di giocare sia l’originale Onimusha: Warlords per PlayStation 2 che il riveduto e corretto Genma Onimusha per Xbox – oltre ai seguiti della saga, ovviamente.
Siamo nel 2019, ma riviviamo un’avventura risalente al 2001, anno in cui Capcom fece fare il salto generazionale al suo modello di avventura 3D immersa in un mondo bidimensionale, resa famosa dal primissimo Resident Evil e che ha visto diversi esponenti di altri generi avvalersi della medesima tecnica (e.g. Final Fantasy VII). Onimusha: Warlords devia dalla corrente survival horror utilizzata nel narrare gli eventi di Racoon City e ci catapulta nel Periodo Sengoku per testare le velleità action del motore di gioco: si tratta infatti originariamente di un progetto PlayStation 1, trasportato poi sulla sorella più giovane per cogliere le opportunità tecniche ed economiche promesse dal nuovo hardware più che per ovviare a limiti veri e propri, come si può notare dal trailer originale in cui ritrovare numerosi elementi rimasti identici – a partire dalla animazioni.
Il primo impatto allora fu strepitoso, in particolare grazie all’intro in computer grafica di altissimo livello che vantava modelli dettagliati, superfici realistiche e bitrate elevato – una gioia assoluta per gli occhi – e una rappresentazione di personaggi e fondali di livello superiore grazie ai fondali di risoluzione maggiore rispetto ai precedessori. C’era bisogno di trovare nuovi eroi e nuovi “capolavori” per ornare il vessillo di PlayStation 2 e il nuovo titolo Capcom aveva tutte le carte in regola, arrivando a trasformare in breve Samanosuke Akechi – protagonista del gioco – in un personaggio simbolo della piattaforma.
Fast forward ai giorni nostri e ci ritroviamo in un’epoca in cui le avventure di questo tipo sono sempre meno, Resident Evil è passato alla visuale alle spalle e il gioco action più rappresentativo della generazione è Dark Souls: come si colloca questo Onimusha: Warlords?
Le basi, fatte bene
Anacronistico a dir poco l’impianto tecnico: l’opera di rimasterizzazione è sicuramente valida e ci regala modelli ad alta definizione affiancati da fondali ottimizzati per le nuove risoluzioni, ma è difficile scrollarsi di dosso l’impressione di giocare a qualcosa di “vecchio”, in particolare quando l’esperienza è vissuta in modalità TV. Ci vuole un po’ di buona volontà per entrare nel mood e non storcere il naso davanti a modelli di qualità altalenanti e con mesh discutibili anche per personaggi di una certa rilevanza (come Kaede, la kunoichi che accompagna Samanosuke), senza contare che spesso la qualità dei fondali non è costante e ci propone ambientazioni un po’ più blurrate del dovuto.
Detto questo, i giochi si valutano pad alla mano e Onimusha, anche dopo tanti anni, è solido e concreto come pochi titoli nella storia, con tanto di miglioramenti: gli originali controlli “tank” (player relative, in cui su/giù sono avanti/indietro per il personaggio e destra/sinistra lo ruotano) sono mappati sulla croce direzionale e affiancati dai nuovi controlli “3D” (screen relative, in cui ogni movimento sulla levetta corrisponde allo spostamento del personaggio in quella direzione a schermo) sull’analogico sinistro.
Senza passaggi da menù quindi possiamo scegliere quale approccio utilizzare, anche se è davvero impossibile rinunciare alla rapidità offerta dai nuovi controlli una volta provati, in particolare perché uno degli elementi di maggiore difficoltà del titolo originale risiedeva nell’estrema difficoltà nel girarsi correttamente e in tempo utile verso il nemico, per poi approcciarlo a sufficiente velocità. Qui, alla pressione di R, agganciamo il nemico più vicino e abbiamo una mobilità impensabile in passato che ci consente di passare da uno all’altro in velocità. Alcuni duelli avevano maggiore pathos grazie al sistema di controllo tank che mai andava a cozzare con il cambio di telecamera (con l’analogico, invece, ogni tanto si perde la direzione intrapresa nel passaggio di inquadratura… terribile con i boss), ma nel complesso il miglioramento è evidente.
Stiamo parlando di samurai, ma anche di demoni: quello di Onimusha è un mondo fatto di duelli alla spada ma anche di poteri fuori dal comune, unica speranza contro nemici in grado di rispedirci al creatore con un colpo. È proprio durante una situazione simile che Samanosuke, dopo aver visto rapita l’amata (?) principessa Yuki, riceve la benedizione del clan degli Oni sotto forma di un guanto in grado di assorbire le anime demoniache e capace di sfruttare artefatti speciali per generare armi micidiali – katana del fulmine, spadone del fuoco e doppia lama del vento – ognuna dotata di un attacco speciale cruciale in battaglia e che si ricarica solo assorbendo gli spiriti dei rivali caduti.
Questo arsenale ci consente di combattere alla pari con demoni minori e creazioni infernali, recuperandone le anime una volta sconfitti premendo un tasto. Una procedura indispensabile per potenziare armi e oggetti (non solo la forza delle spade, ma anche la possibilità di mutare un’erba in una ben più efficace medicina) ma che ci espone agli attacchi nemici, a causa della tendenza delle anime a svanire dopo pochi secondi mentre siamo ancora circondati da avversari.
Ne conviene che l’approccio al combattimento deve essere pesato, a tratti attendista, ma in ogni caso estremamente tattico. Le mosse a nostra disposizione non sono tantissime e a parte le combo base abbiamo montanti, affondi (muovendo verso il nemico), calci per destabilizzare o far cadere l’avversario (muovendo indietro) e una counter che richiede davvero tanto tempismo ma diventa fondamentale per far fuori i demoni in fretta e al contempo ottenere un buon numero di anime – anche curative. Disponiamo anche di un utilissimo “colpo di grazia” da effettuare quando gli avversari sono a terra, con risparmio di tempo annesso.
Chiaro, non siamo ai livelli di (uff… sto davvero per scriverlo…) Dark Souls come difficoltà, ma non è mai possibile abbassare la guardia né prendere alla leggera alcun nemico, pena la perdita di grosse quantità di energia vitale: cosa drammatica in quanto non vi sono “punti di recupero” che refillino i punti vita e gli oggetti curativi sono presenti in dosi davvero mooooooolto ridotte. L’obiettivo è dunque cercare di fare sezioni più pulite possibile – anche passando oltre i nemici quando la situazione lo richiede – e contare sull’apparizione delle anime gialle (vita) per curarsi senza intaccare la scorta di medicinali.
Guardia sempre alta e orecchio attento, perché come nello stile più classico dei giochi a telecamera fissa le minacce possono arrivare anche off-screen sotto forma di arcieri (spesso posizionati in alto, lontani dalla spada e raggiungibili solo con la mossa speciale del vento o con arco/fucile), tentacoli che attraversano il pavimento e ninja che sbucano alle nostre spalle in tuffo. Odio estremo, in particolare, per i globi demoniaci che nelle fasi avanzate girano per gli stage al solo scopo di risucchiare le anime vaganti e attaccarsi alla prima occasione al nostro guanto per prosciugarlo: se li vedete, andate oltre!
I giochi (e i paletti) di una volta
Ma Onimusha: Warlords non è solo “action”, anzi, e tiene fede alla natura esplorativa dei titoli dell’epoca. Come con ogni buon figlio di Resident Evil che si rispetti, il mondo di gioco è articolato su più livelli e gestisce una progressione graduale fatta di backtracking e ottenimento di nuove abilità o oggetti per aprire aree prima non accessibili. Tendenzialmente i blocchi sono imposti nella maggior parte delle occasioni da un “check” al nostro equipaggiamento, che ci consente di proseguire solo se abbiamo una determinata arma o abbiamo adeguatamente potenziato il suo “orb” del guanto. Se le anime ottenute durante l’avventura le spenderete anche per potenziare oggetti, probabilmente sarete costretti a del farming per mettervi alla pari con le dotazioni richieste… ma nulla di drammatico in senso assoluto.
Si passa dunque molto tempo a cercare chiavi, salire scale, attivare interruttori e azionare ingranaggi, con i graditi intermezzi che vedono la presenza di Kaede in azione – quando come compagna nelle sessioni puzzle, alternando i comandi, quando direttamente chiamata in causa nel combattimento in solitaria. C’è varietà di situazioni, coinvolgendo anche aspetti puzzle che sbloccano oggetti speciali o potenziamenti di energia vitale e magia. L’esplorazione è incentivata, anche se a tratti rischiosa, con conseguente soddisfazione quando il proprio arsenale si completa con l’arco e il fucile.
Al netto delle difficoltà nella fruizione delle mappe, legate ancora ad una serie di passaggi dai menù decisamente arcaica e prive delle dovute legende, si rimane affascinati dal mondo creato e dalla diversità delle aree di gioco, permeate di quel retrogusto un po’ old school e un po’ cringy nella rappresentazione del mondo demoniaco. L’esperienza è in generale discretamente breve, ma affascina e cattura grazie ad un concreto senso di progressione (anche personale) e una narrazione solida – sebbene semplificata – che segna adeguatamente le tappe del percorso. Sembra una banalità, ma i brevi inserti cinematici con voice acting aggiungono davvero tanto alla godibilità dell’avventura, anche se viziati da un’ingenuità legata al periodo di pubblicazione originale.
Non mancano gli extra, a cominciare dalla visita al Dark Realm che ci viene proposta già durante la nostra prima run: in questa sorta di “Bloody Palace” – tanto per citare altre saghe Capcom – veniamo messi dinanzi a sfide complesse in aree ristrette, con però la possibilità di ottenere oggetti molto potenti come la Bishamon Sword – un vero e proprio cheat code per la battaglia finale. Ovviamente bisogna pesare quante risorse consumar in questa particolare “arena”, sapendo che poi non potremo utilizzarle nell’avventura normale.
Come in altri classici del genere, completare il gioco e ottenere un determinato numero di collezionabili è la via per sbloccare costumi extra, minigiochi e difficoltà aggiuntive: altro che DLC! Se la storia principale, una volta imparati percorsi, enigmi e pattern nemici, può impegnare per poco più di 2 ore, l’esperienza complessiva di segreti, potenziamenti e modalità extra porta via un discreto lasso di tempo. Forse a inizio 2000 titoli come questo soddisfacevano anche solo al completamento dei loro aspetti principali ma oggi, anche grazie al prezzo budget molto interessante, rappresentano un buon diversivo per chi ama il completismo e le sfide impegnative.
Effetto Switch
Non abbiamo tra le mani un colossal narrativo, non c’è un picco tecnico da rimirare e non vi sono innovazioni (anzi) che possano stravolgere la nostra fruizione: Onimusha: Warlords è un tuffo nel passato che ci consente di rivivere un’avventura che abbiamo già apprezzato o ci propone una prospettiva sull’evoluzione del genere d’avventura. In ogni caso mantiene intatto ciò che l’ha reso vincente andando a perdere non troppo se confrontato con produzioni attuali più “morbide” nelle mani del giocatore e più rifinite in favore dell’occhio.
Quello che intriga e che ha generato un cappello introduttivo positivo sul titolo è il gioco in modalità portatile: console alla mano il gioco supera in scioltezza quelli che sono i limiti tecnici e si mostra in una forma di certo non eccezionale ma dannatamente intrigante, al punto da far pensare che la scorciatoia del fondale prerenderizzato possa rappresentare una reale opzione per i titoli che si vogliamo presentare su Nintendo Switch. I limiti di risoluzione svaniscono e l’impatto scenico si moltiplica (si tratta comunque di scenari creati con un dettaglio elevatissimo), rendendo tutto il contesto più credibile.
È sempre piacevole rivivere “in tasca” produzioni al tempo considerate colossali ed è comprensibile che non tutti possano coglierne il fascino, ma Onimusha: Warlords sembra cucito ad arte per la console ibrida di Nintendo, divenendo testimonianza moderna di un genere forse abbandonato. I mezzi per vedere il secondo e terzo episodio ci sono tutti e l’interesse in merito sarebbe ancora più elevato per via di strutture di gioco più ampie e con maggiori opzioni. Ma già così non si può che essere soddisfatti del rapporto qualità/prezzo: il titolo Capcom merita di entrare nelle librerie di chi vive Nintendo Switch quotidianamente fianco a fianco alla console, con l’unico limite dell’impatto visivo per chi è maggiormente orientato all’esperienza sulla televisione.
P.S.
C’è un altro appunto che andrebbe portato alla produzione, ma non essendo amante delle critiche in stile “avrebbero potuto/dovuto” mi limito a segnalarlo in coda di recensione sottolineando come la cosa non abbia impattato in alcun modo la valutazione finale. Questa “rimasterizzazione” di Onimusha: Warlords non comprende i contenuti aggiuntivi visti in Genma Onimusha per l’originale Xbox, che rappresentavano tendenzialmente migliorie al gameplay come la possibilità di caricare i colpi (utilissimo per “stunnare” nemici coriacei che si piazzavano in mezzo a corridoi stretti) e l’abilità dei nemici di assorbire le anime come Samanosuke per potenziarsi. Altra chicca era la presenza di una “bambola assassina” che – una volta attivata per necessità di trama – ci seguiva per tutto il gioco in puro stile “Nemesis” di Resident Evil 3.
Si tratta di mancanze che a livello personale pesano un po’, avendo io preferito la versione Genma all’originale, ma che non possono impattare la valutazione di una produzione comunque efficace.