Abbi cura di te…
In queste pagine non parliamo di politica, è una palla che scansiamo agilmente, dato che forse non c’è argomento che possa essere più distante dal concetto di divertimento. Tuttavia questa recensione dovrà per forza di cose fare eccezione, per cui siete avvertiti.
Nel mondo del gaming elettronico non c’è molto spazio per produzioni come questa, giochi/non-giochi/più-di-semplici-giochi la cui esistenza, a dispetto di preferenze ludiche personali, ritengo molto importante per due motivi, uno filosofico che poi è la crescita/maturità del nostro media preferito e l’altro più concreto, che riguarda la nostra di crescita, il sapersi confrontare con argomenti scomodi e tremendamente reali, di fronte ai quali è facile chiudere gli occhi o addirittura correre il rischio di andare contro la nostra stessa natura umana, con la scusa che – come dicevano i latini – l’uomo per l’uomo è un lupo, e come dice l’uomo di oggi che dev’essere senz’altro più colto di un Plauto a caso (del resto può annoverare la conoscenza storica dei più di 2200 anni successivi, no?) “prima gli italiani”. Sentenze magari emesse solo con una conoscenza superficiale dell’argomento, come spesso accade oggi, con fin troppe persone che scelgono il titolo di una news o il servizio di un tg o ancora peggio, un post sui social di un politico come base su cui farsi un’idea e di conseguenza schierarsi.
Come avete notato, il rischio di scadere nella retorica – a prescindere da quali sponde si voglia navigare – è sempre molto alto quando si toccano certe tematiche e forse è anche per questo che il lavoro di The Pixel Hunt e di Figs è qui ancora più prezioso nello sviscerare il tema dell’immigrazione. Il linguaggio scelto è quello che oggi definiamo visual novel (o per dare una definizione più nostrana “avventura testuale”), un racconto in una forma che definirei quasi epistolare o comunque dialogata. Coadiuvati dall’uso di una app di instant messaging (praticamente identica a WhatsApp) nei panni del siriano Majd, ci ritroveremo a incoraggiare Nour, nostra moglie, che ha deciso di intraprendere il fantomatico “viaggio della speranza”, con la consapevolezza che l’amata terra natia non può offrire altro che la desolazione e la miseria portata dalla guerra, che ripartire da zero in una terra straniera è tutt’altro che una pacchia e che si potrebbe anche non arrivare – ipotesi tutt’altro che implausibile purtroppo.
Se durante la fase iniziale Se mi ami non morire fa leva sullo stuzzicare la curiosità, il mio senso voyeurista si è acuito man mano che ricevevo sempre più informazioni sulla situazione di Nour, fino a scoprirmi preoccupato per le sue condizioni, chiedendomi se è ancora in vita, e se è in vita perché non ha ancora scritto. La cosa funziona perché i dialoghi sono scritti benissimo e si ha l’illusione costante di assistere a uno scorcio di vita di due innamorati. Qui risiede il lavoro migliore, la leggerezza di Nour, e la gioia che traspare dai suoi racconti smorzano i toni in frangenti in cui l’esperienza potrebbe essere pesante e deprimente, catapultando il giocatore dentro una porta scorrevole in cui il sollievo di trovarsi solo di fronte a un gioco si scontra con la realtà delle cose per le quali certo, sappiamo che Nour non esiste davvero, è solo un alter ego virtuale, ma allo stesso tempo ci sono centinaia di Nour ancora oggi là fuori, che probabilmente hanno scelto il bivio narrativo errato, fidandosi della persona sbagliata, vivendo i propri ultimi giorno distante dall’abbraccio dell’amato.
A livello ludico l’esperienza è ben poca cosa: ci si limita a decidere quando ci sono dei bivi narrativi (che determineranno le sorti della nostra amata) altrimenti i dialoghi scorrono un po’ da soli e ci si limita a pigiare il touch screen o i tasti – a seconda dei controlli selezionati. Nonostante quindi virtualmente ogni run è completabile in breve tempo, ci sono ben 19 finali differenti, che se visitati tutti porteranno Nour a visitare 50 città diverse. Per concludere la disamina tecnica, che forse questa volta in particolare lascia un po’ il tempo che trova, ho apprezzato la scelta di uno stile grafico orientato verso le novel graphic europee anziché la ricerca del foto-realismo che probabilmente sarebbe stato anche più di impatto ma sicuramente sarebbe stato anche scoraggiante verso un certo tipo di pubblico, che poi è il tipo di pubblico a cui cerca di rivolgersi.
Quel pubblico insomma che vuole anche informarsi su cosa stia succedendo dall’altro lato del mondo, e forse preferisce farlo in maniera “più soft” che trovarsi di fronte alla crudezza di una foto che documenta come si fugge da una zona in guerra, cercando di passare confini da clandestini o meno – anche quando Nour avrà la fortuna di poter scegliere l’aereo come mezzo di locomozione non è esattamente la stessa esperienza di viaggio in aereo a cui siamo abituati noi occidentali.
La versione per Nintendo Switch da me provata ha mostrato il fianco a qualche bug e problema di stabilità, che gli sviluppatori mi hanno garantito saranno risolti a breve, e a parte questo, ritengo che il cellulare (il gioco è nato su mobile) sia ancora la piattaforma ideale, proprio per un fattore di maggiore immedesimazione (avere il cellulare e probabilmente essere maschi, dato che si impersona Majd), ma se si deve scegliere una versione alternativa probabilmente è preferibile proprio Nintendo Switch anziché il PC, proprio per la possibilità di giocarlo in verticale e usare il touchscreen, come fosse un cellulare appunto.
Ovviamente non un gioco adatto a chi cerca un gioco in senso stretto, ma un’esperienza che tutti dovremmo provare, anche – e soprattutto – considerando che proprio l’argomento di cui si parla oggi viene strombazzato a destra e a manca, spesso mancando il punto del discorso, che è aiutare o rifiutare un aiuto a chi è in difficoltà oggi, magari dimenticandoci che erano i nostri cari in difficoltà, soltanto ieri. E se serve un videogioco a capire questo, non resta che giocarlo e farlo giocare.