Perché non bastava Nintendo, siamo tutti doomed
È stata la settimana degli sfoghi personali della stampa, la stampa vera, quella che dall’alto influiva sulle vendite dei videogiochi in un periodo in cui c’era davvero bisogno di informazione, e l’informazione passava tra le loro dita di scrittori, di squadre redazionali, e in moltissimi casi, di amici.
Inutile girarci attorno, più o meno la maggior parte delle cose che ho letto negli articoli incriminati (ma anche in precedenti, perché non è mica la prima volta che le campane suonano) sono vere. Oggi l’editoria, che ha questo nome solo per eredità, si basa su collaboratori scarsamente (quando lo sono) retribuiti? Certo. C’è meno supporto dai publisher, specie da quelli maggiori in grado di poter imbastire campagne marketing? Vero. C’è meno attenzione da parte del pubblico? Probabilmente sì, anche se chi più, chi meno, ogni sito ha uno zoccolo duro di follower (anche noi lo abbiamo e ne siamo sempre grati). La qualità è scesa? Non ne sono così sicuro, dato che in rete riesco a trovare articoli molto profondi (anche se i dossier sulle saghe che mi piaceva tanto leggere purtroppo si sono spostati su wikipedia).

Da una parte oh, sono vecchio e mi mancano le riviste, oh quando scrivo su NintendOn lo faccio per piacere e ci metto l’impegno che ci metterebbe un redattore retribuito, oh mi piacerebbe esserlo soprattutto in tempi come questi e la colpa di tutto questo è di quegli stronzi come me, perché se nessuno lavorasse gratis non ci sarebbe il problema, forse. Ma una cosa è il mondo utopico nella mia testa, una cosa è la realtà. E la realtà è che il mondo dell’editoria ludica è sempre stata una montagna russa, anche quando i soldi giravano (e non intendo solo stipendi: intendo anche rimborsi spese per andare a eventi stampa, copie fisiche e hardware di acquisizione messe a disposizione e altro).
Tutti i mestieri quando nascono sono così, e ci vuole un bel periodo di assestamento prima che nascano regole fisse e tutele dei lavoratori, ma in questo caso in particolare scriviamo per un settore che sembra un chitarrista eclettico del 1971, quelle stelle così luminose che si sono bruciate troppo in fretta, a ventisette anni. Chi lo ha capito, già ai primordi di internet, ha cercato un impiego più stabile, anche rimanendo nel settore: PR Manager, traduttore, tester, e chi aveva competenze o si è impegnato per ottenerle, anche programmatore e altro. C’è stato chi ha abbandonato del tutto, cambiando lavoro, chi lo cerca ancora oggi. Ci sono quelli che hanno scommesso su una trasposizione digitale della vecchia editoria, ma oggi è facile poter affermare che è stata una scommessa troppo azzardata.

In parte perché sono pochi a capire come si fanno i soldi sul web (e sono pochi quelli che riescono a farne pur capendo), e in parte perché tutto il carrozzone di ieri, non può viaggiare con meno benzina nel serbatoio, in un’autostrada dove i limiti di velocità sono stati tolti senza nemmeno una circolare ad avvisare. Sì perché prima c’era bisogno delle riviste, perché Mario lo conoscevano tutti ma come avrei fatto a capire se potevo fidarmi di Bugs Bunny The Crazy Castle o se era meglio spendere ventimila lire in più per comprare Duck Tales? Ma nel 2018, quando i recensori devono rispettare un embargo che manco la pillola del dottore e giorni prima della sua scadenza si trova tutto il gioco completo su Youtube, ha ancora senso il nostro mestiere? Me lo sono chiesto più volte. E ci ho scritto su più volte.
Mi piacerebbe oggi poter affermare che è così. Perché si può sempre fare di più, non solo informare ma divulgare, non solo dare la notizia ma anche l’approfondimento. In fondo se c’è la cronaca rosa e la sezione sportiva, perché non una branca ludica dell’informazione? Se c’è uno chef televisivo, perché non uno steamer televisivo? Un Cannavacciuolo che con una manata dà lezioni su Gradius e la scuola Konami, perché non c’è? Semplice, perché a nessuno (o meglio: a pochi) interessa. Ed è il motivo per cui quel carrozzone è stato fucilato prima dell’ingresso in autostrada, e i fucilieri sono i giocatori stessi e l’internet (sì, elle apostrofo).

L’internet perché dà voce a tutti e tante voci in una stanza vuol dire confusione. Sul serio, voi riuscite a trovare più qualcosa di interessante quando cercate qualcosa la cui risposta non sia contenuta in Wikipedia? Non conosco gli algoritmi dei motori di ricerca, né sarei in grado di comprenderli, ma so che probabilmente sono specificatamente studiati per farmi sedere sul mio apparato testicolare appena dopo qualche pagina. Sono sicuro che se facessi un pezzo in cui la frase “Shigeru Miyamoto ti amo” viene ripetuta più volte di “Il Mattino ha l’oro in bocca” nel libro di Jack Nicholson, e il sommo vate Shigeru cercasse il suo nome e cognome su Google come capita di fare a chi scopre internet per la prima volta (grave errore), non troverebbe mai le mie lodi affettuose. Probabilmente anche perché userebbe i kanji. Ma vabbé avete capito l’esempio.
I giocatori perché la maggior parte di questi non vogliono filosofia da hard discount e approfondimenti, ma solo sapere quando esce l’aggiornamento di Fifa. Non c’è nulla di male nel pensarla così (anche se fa molta tristezza pensare che ci sono tanti artisti nel settore e che il loro lavoro venga ignorato), non tutti vogliono sapere chi è Yoshiaki Koizumi. Anzi sono pochi che vogliono. Il vero problema è che mi sembra che anche quei pochi, ultimamente siano meno interessati a un’informazione scritta, che è quello che mi piace fare (e che piace fare a tanti giornalisti ludici spinti dalla passione prima ancora che da altro), e più a una visione intrattenente come gli stream show di Kenobisboch Production (che vi invito a seguire).

Attenzione: così come ho scritto però sembra che “dò la colpa a”. Semplicemente è cambiato lo scenario, i tempi, i gusti. Probabilmente c’è meno gente disposta a leggere una recensione di Octopath Traveler, e più gente propensa a mettere uno streamer in sottofondo mentre fa altro per capire se vale la pena acquistarlo. Non è una colpa, le cose cambiano e cambia anche l’utenza: prima il giocatore, facente parte di una nicchia, si chiedeva se il gioco sarà mai arte. Oggi il giocatore, facente parte del mass market, si risponde: pure se è arte, sai che me frega?
Quindi il giornalismo videoludico è morto? No, ma sta morendo QUEL giornalismo videoludico, quello tradizionale abituato a mettere il numeretto in fondo alla recensione, e che non ha il coraggio di togliere perché oggi quello conta. E conta perché la gente, quello vuole. Quelli che cercano l’approfondimento sono in pochi, sparpagliati tra mille blog più belli e più brutti del nostro, e il loro sostegno non è sufficiente. Ma nemmeno lontanamente lo è. Io stesso ho pronto da mesi un bellissimo podcast sulla storia di Nintendo e un caporedattore che si chiede se la gente sa cosa sia un podcast e che ha già la morte nel cuore a leggere la scritta: questo articolo non ha ancora commenti, vuoi essere il primo (confermo tutto – NdPittanza)?

In tutto questo, morirà mai l’informazione sul nostro hobby preferito, dopo la pastorizia? No. Cambierà ovviamente tanto. Perché prima o poi alcune le penne smetteranno di scrivere, vuoi perché pagarsi l’E3 non è sempre possibile, vuoi perché scrivere per un pubblico che non si disturba nemmeno a lasciare un commento è ancor meno gratificante di discutere nei commenti con chi sembra non aver capito l’articolo. Vuoi perché per mantenere un sito come NintendOn, che tutto sommato è una piccola realtà, ha un suo costo e noi non facciamo il mestiere più bello del mondo perché non facciamo un mestiere.
Quindi non preoccupatevi, non è caduta la croce rossa italiana, né ha chiuso la vostra pizzeria preferita. Anche se un morbo colpisse tutti quelli che scrivono di videogiochi, rimarrebbero comunque tanti anonimi a caricare il gioco completo su Youtube, e non avete bisogno di me che vi consiglio X, se di X trovate vita morte e miracoli sul web. Allo stato attuale, e in futuro sarà sempre peggio, il nostro non è una professione, anzi assomiglia di più a una brutta dipendenza come l’alcool o il fumo, abbiamo questa passione, volevamo poterci vivere, e invece prosciuga tempo, energia e risorse che servirebbero a fare un lavoro vero. E di noi in fondo non avete davvero bisogno. Però, se poteste mettere da parte i bisogni per un attimo e dare voce anche al superfluo (ché tanto essendo videogiocatori siamo già un po’ abituati), potreste avere il piacere di leggermi, anche fosse solo per insultarmi su qualcosa che vi trova in disaccordo. Potreste apprezzare i miei sforzi quando faccio un pezzo su chi è stato MTJ e perché gli dobbiamo tanto, perché non sono in tanti che lo fanno e potrebbe essere interessante venirne a conoscenza. Gli streamer, streammino pure, fanno solo bene, ma i siti come il nostro hanno un nuovo compito, oggi. E di cosa parleremo, di cosa scriveremo, cosa costruiremo, in fondo lo decidete anche voi.