Destro, sinistro, rovescio!
Era la fine degli anni settanta e Rocky era sulla bocca di tutti. La boxe era un fenomeno di culto anche tra i più giovani, schiene sudate e pettorali rigonfi stavano a rappresentare virilità e spirito di sacrificio. Dal cinema, lo sport coi guantoni ha saputo coinvolgere anche il medium dei videogiochi, dapprima con Punch-Out, poi coi titoli firmati Electronic Arts. C’era un genere però che poteva dare ancora qualcosa ai patiti della boxe: lo statico ma al contempo soddisfacente gestionale. Ecco quindi che i ragazzi di Lazy Bear Games si sono prodigati con Punch Club, titolo inizialmente rilasciato per PC, sbarcato su Nintendo 3DS e da adesso disponibile anche sull’ibrida giapponese.
La storia che fa da contorno al gioco riprende tutti i più classici stereotipi dell’epoca e un’infinità di citazioni del cinema anni ottanta. Vestiamo i panni di un aspirante lottatore, rimasto orfano dopo che la sua famiglia viene schiacciata dal potere della mafia e di altre misteriose organizzazioni. La vendetta fa quindi da motore trainante alle aspirazioni del giovane boxer, anche se il sogno di diventare il più forte di tutti è di quelli più puri che uno sportivo possa provare. Sebbene la trama sia piuttosto essenziale ai fini prettamente ludici, col passare delle ore si rivela il giusto modo di spezzare il ritmo, soprattutto dopo un lungo susseguirsi di incontri e allenamenti.
Il nostro alter ego deve necessariamente scalare le classifiche per ottenere l’agognato titolo di campione. I risultati, in ogni caso, arrivano solo dopo enormi sacrifici. Ecco quindi che l’allenamento diviene parte integrante della routine e, a seconda del parametro scelto, che andrà a sua volta ad influire sullo stile di combattimento, prevede l’utilizzo di un attrezzo piuttosto di un altro.
Forza, Agilità e Resistenza sono i tre parametri principali. Ognuno di essi, se potenziato, sblocca abilità peculiari facenti parte di uno specifico ramo, che andrà via via evolvendosi. Punch Club mostra quindi una componente ruolistica abbastanza marcata, che determina con prepotenza l’esito degli incontri e spinge a provare strategie sempre diverse, anche a seconda degli avversari che capitano sotto tiro, piuttosto eterogenei nella lotta.
Oltre ad allenarsi, il giovane boxer deve provvedere alla sua indipendenza economica, ai brontolii dello stomaco, alla stanchezza che puntualmente prende il sopravvento sul suo corpo e, per finire, alla giusta dose di divertimento. Il tempo è il parametro che più di tutti scandisce il ritmo di gioco. Da questo punto di vista gli sviluppatori hanno pensato ad un sistema piuttosto fedele alla vita reale, che quindi non fa alcun tipo di sconto; trascurare uno o più bisogni porta irrimediabilmente a risultati altalenanti, se non controproducenti.
Lo scandire delle ore, in ogni caso, è forse fin troppo severo. Forza, Agilità e Resistenza decrescono parzialmente il giorno successivo, la fame del nostro alter ego equipara quella di un elefante e il supermercato in città costringe a sborsare centinaia e centinaia di dollari per carne e altri alimenti. In generale, tenere alti i parametri di combattimento e allo stesso tempo i valori dei bisogni giornalieri porta ad uno schema di azioni che si ripete all’infinito sino a quando non si ottengono i risultati sperati. Un’eventualità piuttosto frequente nei gestionali, ma che in Punch Club si percepisce maggiormente a causa delle poche attività collaterali.
A questo si aggiungono le variabili durante gli incontri. Non sempre infatti, pur nel meglio della forma psico-fisica e con i parametri maxati, si riesce ad avere la meglio sull’avversario. La frustrazione diviene così, anche se in basse percentuali, una parte dell’esperienza di gioco. Cosa non del tutto piacevole, soprattutto dopo un’attenta programmazione degli allenamenti e delle ore passate a guadagnarsi da vivere.
Punch Club, in ogni caso, sa premiare i meno arrendevoli. Capendo i tempi di gioco e organizzandosi a dovere — chiudendo un occhio sulla ripetitività e i misteriosi criteri che inficiano incontri facili sulla carta — i risultati prima o poi arrivano e scalare le classifiche diviene un sogno tutt’altro che irraggiungibile. Il titolo sviluppato dai ragazzi di Lazy Bear Games vuole insegnare che siamo noi gli unici responsabili delle nostre azioni, che i sacrifici prima o poi pagano e che le vicissitudini sono sempre dietro l’angolo. Non tutti, comprensibilmente, percepiranno questa morale come un fattore positivo.
Esteticamente Punch Club riprende una pixel art colorata e discretamente dettagliata, che si ispira con fare netto all’epoca del Super Nintendo; un ulteriore omaggio ad un’era che ha fatto la storia del cinema e dei videogiochi. Il comparto sonoro non si distingue per originalità e propone in loop una traccia musicale sì piacevole da ascoltare, ma che dopo sessioni di gioco prolungate finisce inevitabilmente con l’alienare il giocatore. Tecnicamente il titolo è fluido e i caricamenti veloci. Proprio nella portatilità il gioco potrebbe richiamare l’attenzione degli appassionati; la sua natura gestionale è perfetta per chi gioca fuori casa e approfitta di lunghi viaggi di lavoro per passare il tempo.
Punch Club si è dimostrato un gioco caparbio, con una sua forte personalità, in grado di omaggiare un’epoca in cui ogni bambino sognava di salire sul ring e portare a casa il titolo di campione. Al netto di una permissività fin troppo risicata e di una ripetitività di fondo, l’esperienza risultante è più che soddisfacente, stimolante per i neofiti e assuefacente per chi è alla costante ricerca di sfide.