The Bunker – Recensione

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Genere: Film interattivo
Multiplayer: no
Lingua/e: Doppiaggio in inglese, sottotitoli in italiano

Da bambino se mi piaceva la grafica dicevo:
“Sembra un film”

Gli inglesi e gli americani sono più fortunati di noi per l’appeal verso determinati generi. Durante l’era dei giochi basati sui FMV (full motion video, ovvero giochi a base di filmati girati con attori o spezzoni animati) molti di noi erano piccoli e non a proprio agio con l’inglese, e per giunta erano destinati ad add-on o console con una base installata troppo modesta come il SEGA Mega CD, il Philips CD-i o il 3DO.

Giochi come Wing Commander o Night Trap da noi sono meno conosciuti ma hanno solleticato la fantasia dei giocatori in un periodo in cui il fotorealismo era ancora lungi dal palesarsi sui nostri schermi di casa. In più, questi giochi erano poco più di film interattivi, magari avevano una trama interessante, ma erano poveri in gameplay. Il genere non si è evoluto di molto durante tutti questi anni ma ha avuto una scintilla che risponde al nome di Her Story, un indie capace di spremere le meningi e smuovere le acque.

Se queste erano le uniche letture ci credo che John non ci stia con la testa

The Bunker come avrete già intuito si ascrive a questo genere,ma preferisce giocare sul tradizionale, confidando nella sola bontà della trama e nei suoi colpi di scena per far breccia nell’interesse del giocatore. Troppo poco? Probabilmente sì, dato che la rigiocabilità non è pervenuta e che una sessione di gioco potrebbe già bastare. Ed è davvero un’occasione sprecata, perché la scrittura, che poi è quello che conta in un gioco del genere, è davvero di qualità.

John (Adam Brown; il nano Ori nella trilogia de Lo Hobbit) è nato e cresciuto, con non poco disagio, dentro un bunker in compagnia di sua madre Margaret (Sarah Green; Hecate Poole in Penny Dreadful). I due sono gli unici sopravvissuti a un non meglio definito olocausto nucleare causato da un’ipotetica terza guerra mondiale (la guerra fredda… evidentemente non lo era abbastanza) dentro un bunker. Quando la routine quotidiana del protagonista, dedicata al sostentamento del proprio corpo e alla manutenzione della struttura, verrà sconvolta da alcuni avvenimenti, inizieremo a scoprire, tramite flashback, cosa è successo in quel dannato bunker, che fine ha fatto il comandante Bishop (Grahame Fox; Capitan Barbarigo in Da Vinci’s Demons e comparsa in decine e decine di altre serie TV) e tutti gli altri sopravvissuti.

Uffa ma’, esco, questa stanza è un mortorio

Leviamoci subito il dente: a livello di gameplay the bunker è poca cosa, e a parte interagire con pochi oggetti e cambiare location c’è davvero poco a cui pensare. La spinta ad andare avanti c’è: gli attori hanno dato prova delle loro capacità e non hanno preso sottogamba il proprio compito, la regia (Allan Plenderleith; scrittore per serie animate che è meglio non citare) è attenta, precisa e suggestiva, la location è da brividi (il bunker nucleare segreto Kelvedon Hatch, oggi museo aperto al pubblico sito nella contea inglese dell’Essex), la scrittura (Kevin Beimers, Steve Ince; Broken Sword e altri videogiochi) pur non essendo originalissima regge.

Se da un lato la tensione non è altissima (le fasi horror sono distribuite con poca intelligenza tra flashback e presente), è la curiosità a solleticare tanto che si potrebbe parlare di thriller psicologico piuttosto che di horror. Se si fosse optato per una grafica tradizionale, indifferentemente se 2D o 3D, parleremmo di un normalissimo punta e clicca. Ma realizzare un gioco in FMV richiede uno sforzo in più, e il semplice fatto di riuscire a non disilludere lo spettatore/giocatore, distogliendo la sua fede attenta a quel che succede a schermo, è un traguardo davvero notevole, illustri predecessori sono sconfinati nel kitch senza colpo ferire. Questo è il vero punto di forza di The Bunker e da questo punto di vista basta forse un trailer per rendersi conto se l’acquisto sia incauto o meno.

Inutile, trovo sempre doppioni!

Quello che forse però manca a The Bunker è il coraggio di tentare strade che devino dal film interattivo. Come già accennato c’è poco da giocare, e a parte un paio di occasioni, giocare in modalità docked fa pensare che sarebbe quasi meglio avere tra le mani un telecomando piuttosto che un joypad, per questo il consiglio è di giocare in modalità portatile, potendo così usufruire anche del touch screen, che rende tutto più naturale. Lo schermo di Switch tra l’altro si rivela per l’ennesima volta il compagno ideale, e il gioco è davvero più coinvolgente. E viene ancora da pensare perché stiano perdendo così tanto tempo per l’app di Netflix. Misteri della fede (nintendara)!

The Bunker, pur con tutte le limitazioni dovute alla sua natura, riesce a convincere. Purtroppo dura poco, anche se costa poco più di un biglietto del cinema, e una manciata di collezionabili non sono abbastanza per incentivare una seconda run. Non essendo presenti neanche bivi narrativi viene davvero da chiedersi se non fosse il caso di tentare un po’ di più, o di allegare dei contenuti extra come un documentario sulla realizzazione del gioco, una cosa che sarebbe stata coerente con la natura del prodotto. A volte bisogna farsi bastare quel che si ha.

Giocato per un paio di ore, rigorosamente in cuffia, senza rimpiangere nulla, grazie a un codice gentilmente offerto dal publisher
Pro: The Bunker tiene desta l’attenzione per tutta la sua (breve) durata, c’è del lavoro di qualità a livello di riprese, montaggio e recitazione che valorizza una storia dall’incipit attraente, seppur non molto originale nella risoluzione, se si è un po’ scafati. Se non lo siete, meglio ancora: i colpi di scena avranno più effetto
Contro: Solitamente non critico la durata di un gioco, preferendo valorizzarne la qualità di quelle ore. Ma la possibilità di finirlo in una sola sessione e la mancanza di contenuti extra e/o incentivi reali che spingano a rigiocarlo probabilmente faranno sì che vi chiediate che lo avete comprato a fare, anche se vi è piaciuto tutto. Qualche strafalcione nella traduzione italiana
7.0

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