C’era una volta Donkey Kong – Da Mario alla cravatta rossa

Una retrospettiva sulle origini e prime apparizioni del primate in cravatta nella sulla prima storica fase bidimensionale.

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In principio fu Kong, poi venne il Country

Se si guarda alla teoria evoluzionistica umana (non me ne vogliano i creazionisti) si impara come i primati, le scimmie per intenderci, siano stati l’origine da cui si è poi sviluppata la razza umana. Non stupisce quindi come in un certo senso sia stato un gorilla a dare la scintilla per quello che poi è diventato l’icona videoludica per eccellenza. Per i pochi, pochissimi che non lo sanno infatti, Super Mario è nato da una costola di Donkey Kong (e così anche il creazionismo è accontentato). In occasione dell’imminente arrivo di Donkey Kong Contry: Tropical Freeze su Nintendo Switch proviamo quindi a ripercorrere la storia del gorilla dalla cravatta rossa più famoso del mondo dei videogiochi e nello specifico della sua prima era, quella che ne ha visto la sua nascita, i primi successi e la consacrazione nell’epoca 2D.

Era il 1981 quando tra i cabinati marcati Nintendo veniva proposto il primo Donkey Kong, il primo progetto messo in mano all’allora poco più che ventottenne Shigeru Miyamoto che grazie alla supervisione di Gumpei Yokoi rilanciò la sfida nelle sale giochi al colosso dei coin-op Taito. Un progetto all’apparenza complesso poiché doveva andare a sostituire nei cabinati americani già esistenti Radar Scope, shooter futuristico bidimensionale sviluppato da Nintendo che fu un disastro negli USA. A quel tempo il design di DK era poco più che abbozzato e molto diverso da quello che conosciamo oggi: niente cravatta e una immagine da bad guy con faccia rabbiosa e atteggiamento ostile di contorno. In effetti forse non è cambiato poi molto a dire il vero.

Semplicità, originalità e precisione.

Insert Coin

Erano tempi di pionierismo tecnologico e di terre inesplorate e vergini per il mercato dei videogame e quella piccola scheda di pochi kilobyte e pochi pixel divenne una pietra miliare su cui si basa tutt’oggi buona parte della fortuna di Nintendo e non solo. Il primo Donkey Kong è stato il capostipite dei titoli platform cosiddetti “corri e salta” dettando leggi e meccaniche che anno resistito al mutarsi della marea, del gusto e delle generazioni.

Bisogna ricordare inoltre, se mai ce ne fosse bisogno, che Jumpman, il vero protagonista del gioco impersonato dal player, è poi stato rinominato con il più familiare di Mario dando di fatto vita al personaggio più iconico di tutta la storia dei videogiochi. Si può dire che Mario abbia mosso i primi passi, per meglio dire salti, grazie alla necessità di raggiungere DK su quelle travi di ferro sconnesse.

Alla fine Mario è solo una comparsa molto brava e fortunata.

Certo, i livelli di gioco erano solo quattro e si ripetevano ciclicamente permettendo al giocatore solo di accumulare più punti, in pieno stile sala giochi. Eppure il successo della formula semplice e accattivante di DK portò il gioco fuori dai confini di Nintendo facendolo finire anche su Commodore 64, ZX Spectrum e Atari 7800, oltre che per NES, e portato subito ad altri due capitoli di quella che possiamo definire “l’epoca cabinata di DK”.

Nuove generazioni

Il seguito cronologico del primo, datato 1982,

vedeva questa volta Mario (è proprio in quel frangente che egli assunse il suo nome definitivo) nelle vesti di cattivo che aveva rinchiuso DK in gabbia e cercava di impedire a Donkey Kong Jr. di liberarlo. Il fatto incredibile è che ad appena un anno di distanza questo sequel era completamente diverso dall’originale pur mantenendo la stessa base di partenza, con liane e catene pendenti al posto delle scale. Il terzo capitolo invece, complice l’inizio della carriera di Super Mario da solista, vedeva DK di nuovo come nemico e a disposizione del giocatore il molto meno carismatico Stanley the Bugman. Il risultato fu un capitolo dimenticabile.

Quando è una sliding door a cambiare un villain in eroe!

Di contorno a questi arrivarono negli stessi anni tre Game & Watch, che ricalcavano con le dovute differenze il sistema di gioco dei tre titoli per cabinati, e in aggiunta uno spin-off denominato Donkey Kong Jr. Math che aveva una fortissima componente didattica. Seguì un lungo silenzio. Miyamoto era in piena tempesta creativa e di lì a poco sarebbero arrivati al successo Mario e Link costringendo a tenere in disparte il povero Kong.

Curioso comunque notare come l’originale Donkey Kong fosse stato già “sostituito”, in un certo senso, dal figlioletto con la canotta, la cui immagine divenne riferimento per il franchise in titoli crossover come Super Mario Kart del 1992.

Eccolo in fondo alla fila… ha messo su dei chiletti però.

Il tocco inglese

Gli anni passarono fino al 1994 quando la gabbia dove era tenuto Donkey Kong venne di nuovo aperta. Ma DK sembrava cambiato, diverso, maturato. Non sappiamo come sia successo, ma è a quel punto che al collo del gorilla apparve una cravatta rossa con le sue iniziali. Proprio il 1994 è l’anno in cui il design del personaggio diventa pressoché definitivo mostrandosi per la prima volta nel remake per il primo Game Boy denominato semplicemente Donkey Kong.

Il vero colpo ad effetto, che diede slancio al personaggio di DK, fu tuttavia lo sviluppo del primo Dokey Kong Country ad opera di Rareware, quella che poi si chiamerà semplicemente Rare.

L’infanzia di molti in una foto.

Proprio nel 1994 la software house londinese, che da tempo aveva stretto rapporti proficui con Nintendo, mise le mani sulla serie componendo lo stile con il quale DK è oggi riconosciuto. La difficile opera di Rare fu quella di proporre qualcosa di associabile ad un platform, ma con una sua identità. Ne venne fuori una delle serie più prolifiche e apprezzate dai fan che diede a Donkey Kong una sua identità di personaggio, protagonista di una avventura tutta sua.

La difficoltà del gioco, più ostica e con una maggiore dose di tempismo richiesta rispetto al filone di Super Mario, unita alla lunga serie di segreti e collezionabili necessari a quello che oggi definiremo il “platinamento” del gioco, portarono DK di nuovo nell’Olimpo dei classici Nintendo, perfino più in alto di dove si era stagliato nella sua prima incarnazione. La serie Country fece anche fare la conoscenza di tutta la famiglia Kong, con Diddy, Dixie, Cranky e Funky Kong che si mostrarono al mondo nella serie di titoli pubblicati su Super Nintendo e Game Boy negli anni tra il 1994 e il 1997 rivelandosi un successo commerciale incredibile. E pensare che Miyamoto pare avesse qualche dubbio sull’affidare ad un team esterno una delle sue creature.

Meno male che DK è finito in mano agli inglesi… chissà che avrebbero fatto gli americani!

A dirla tutta questa ascesa del brand corrispose anche ad un progressivo decentramento della figura di Donkey Kong che da protagonista passò ad apparire più come cammeo lasciando progressivamente spazio a Diddy e Dixie. Ma questo importò poco. Donkey Kong con “la prima epoca Country” era diventato un cult per una intera generazione, ricercato, apprezzato e con un carisma tale da potersi permettere di guardare il gigante Super Mario come un suo pari.

Poi qualcosa si incrinò con l’arrivo della terza dimensione e con il seguente “periodo Konga” fatto di spin-off, esperimenti e tanti cammei – alcuni clamorosi, altri dimenticabili. Ma questo è materiale che tratteremo in un prossimo articolo: per ora ci salutiamo qui, ricordando nostalgicamente martelli, canotte e cravatte.

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