Ho visto cose che voi umani… è meglio non vediate.
Nel gioco di associazioni di parole una di quelle che mette particolarmente in moto le meningi è “fantascienza”, o anche semplicemente “spazio”. Che si tratti di Blade Runner, Alien, Capitan Harlock o Star Trek o altro ancora, qualcosa si accenderà nella vostra mente, l’eco di un messaggio lanciato da un regista, uno sceneggiatore, uno scrittore.
Difficilmente vi verrà in mente Morphite, perché aldilà del basso framerate e di altre pecche che rendono il gioco legnoso, quello che risulta ingiustificabile è il totale rifiuto a cercare un’identità propria. E capirete che per un gioco che gira in una console con un catalogo che supera i duecento giochi nel primo anno di vita non è proprio un bel biglietto da visita.

Nei panni di Myrah Kale vi preparate ad affrontare una missione di routine: scansionare forme di vita e minerali di altri pianeti. Ben presto avrete a che fare con la Morphite, misterioso materiale che ha condotto alla morte i vostri genitori, di cui poco sapete. La Morphite sembrerebbe essere un minerale in grado di muoversi e trasformarsi in veri e propri upgrade per la protagonista.
La visuale in prima persona dovrebbe facilitare l’immedesimazione nella nostra alter ego e lo stile grafico adottato, con la sua grafica low poly, l’immaginazione. Tuttavia se uno dei pericoli dello scrittore di fantascienza è ritrarre un mondo troppo distante per suscitare empatia, qui l’approccio è così tanto derivativo che è quasi impossibile prendere qualcosa sul serio.

L’unico personaggio che ha capito che non bisogna farlo è il vostro compagno Kitkat, un gatto robot che con il suo sarcasmo riesce a risollevare la media di dialoghi fin troppo scontati e prevedibili. O almeno ci prova. E se l’elemento più originale è un gatto robot parlante, avete già capito che siamo messi proprio maluccio.
Morphite si gioca un po’ come Metroid Prime, solo che al posto dello scanner sembra vi abbiano dato gli stessi macchinari che leggono i codici a barre in mano al postino over50 che vi consegna i pacchi di amazon, una pistola che è un prototipo Nerf scartato dall’azienda perché poco credibile, un lancia granate che sembra quel cono che ha la palla legata a un filo che probabilmente ve lo hanno regalato ma eravate già troppo grandi per poterlo apprezzare (tipo cinque anni), e una clessidra coi vetri grigi, in realtà è un oggetto fichissimo e tecnologico la cui vera utilità sarebbe chiamare il pod per venire a recuperarvi, ma sospetto che sia davvero una clessidra che ci sia suicidata per la vergogna.

Morphite avrebbe potuto giocarsi anche come un No Man’s Sky, ma io non mi spingerei a tanto. Cioè non lo fa nemmeno il gioco! Sì, ci sono i pianeti generati proceduralmente, dove recuperare risorse da rocce da scambiare con i mercanti spaziali, e sì, ci sono eventi casuali come incontrare pirati spaziali e combatterli, ma non si ha mai un libero controllo della propria astronave, si può solo segnare la destinazione sulla mappa stellare e tutti gli eventi avvengono prima dell’atterraggio tramite selezione di opzione, solo in un paio di casi si è chiamati a prendere comando della propria nave, per evitare meteoriti e per combattere i pirati facendo fuoco dalla torretta, ma anche queste fasi sono tutt’altro che soddisfacenti, sia in termini di giocabilità che di ricompense..
Quello che dispiace è che un certo impegno lo si nota pure e Morphite potrebbe incuriosire chi cerca un gioco poco originale ma di impatto. Lo stile minimalista adottato può essere fascinoso ma, nonostante scelte cromatiche suggestive, diventa presto noioso e il poco dettaglio finisce per far credere davvero che si stia illuminando con una torcia piccole scatole semoventi anziché scansionando un mammifero. I pezzi ambient, per gli appassionati di una certa techno sentimentale, sono più ballabili off-screen che di atmosfera, il doppiaggio conferisce al gioco un valore produttivo più alto dalla media, ma con qualità molto altalenante, dato che alcune tracce sono più sporche di altre e c’è una differenza dei volumi a volte troppo significativa, un po’ come quando si viene interrotti dalla pubblicità di spotify mentre si è presi bene da quello che si stava ascoltando.

Di motivi per andare avanti ce n’è. La main story è lunga abbastanza e i 15 pianeti da visitare per le missioni principali contengono puzzle e paesaggi più studiati rispetto a quelli generati proceduralmente (abbastanza blandi). Il sistema di upgrade di equipaggiamento e tuta vi spinge a farmare il giusto, sebbene questi upgrade migliorino le armi solo sensibilmente, rivelandosi un’ottima esca per i completisti.
In generale però la versione Switch risulta essere la peggiore acquistabile tra le cinque disponibili (le altre sono PS4, XboxOne, PC e iOs) con framerate dimezzato (e a volte anche sotto i trenta in particolari occasioni) e bug occasionali che possono costringere anche al riavvio del gioco (una volta sono atterrato su un pianeta e non si è aperto il portellone, un’altra volta non voleva aprirsi una porta) quando va male, ma che la maggior parte delle volte sono solo fastidiose compenetrazioni o altro. Le armi, pistola soprattutto, sono imprecise e il target lock è troppo lento. Questi difetti non rovinano il gioco, limitandosi a renderlo legnoso e frustrante a tratti. Ma c’è poco da rovinare.

Le varie meccaniche, prese in prestito dai capisaldi del genere, sono poco divertenti proprio nello svolgimento. Scansionare forme di vita, senza averne in cambio la curiosità della scoperta e nozioni scientifiche pur inventate che siano, non è appagante e somiglia davvero troppo a un lavoro. Perfino azioni (poco) bonariamente infantili come sparare e far esplodere cose per aprirsi un varco sono rese in maniera così impacciate che ci si chiede se si sia fatto fuoco per davvero nonostante gli effetti siano visibili, per non parlare poi delle animazioni, basilari eppure goffe e sconclusionate, da parte di creature prive di personalità e di carisma. A livello di narrazione siamo dalle parti di Jet Force Gemini, un gioco di diciotto anni fa, un dipanarsi della trama con sequenze anacronistiche che tratteggiano un mondo forse nuovo ma davvero con una mancanza di originalità e carisma troppo spiccate per risultare memorabili.
“Diego, ma cosa pretendi da un gioco per cellulare?”
Possiamo nel (fine) 2017 dare un’occhiata fuori dal recinto? Il mobile gaming ha titoli interessanti, giochi come Monument Valley e Super Mario Run per citarne un paio, che dimostrano che i possessori di cellulare meritano di più di un approccio derivativo e anonimo al genere come Morphite. La contestualizzazione quindi aiuta solo fino a un certo punto. Miles Davis diceva che non esiste la musica Jazz o Rock. Esiste la buona musica e la musica brutta. E ci sono giochi che non sono belli e non sono brutti, ma sono così così, come Morphite.