Dicembre è vicino, vicinissimo, e abbiamo ancora tutti gli occhi ricolmi di stelline a seguito dell’esposizione prolungata a Super Mario Odyssey: il sontuoso ritorno del RE ha ampiamente stravolto il nostro stile di vita, rendendo superfluo tutto ciò che non fosse colorato, gioioso e dannatamente ben fatto come il lavoro di Koizumi e Motokura.
Il problema è che il tempo passa e i giorni si susseguono, fino ad arrivare in prossimità del lancio di Xenoblade Chronicles 2. Wow. Ci tocca andare avanti, passare oltre, abbandonare Cappy per lanciarsi in un’avventura forse complementare ma sicuramente distante: dobbiamo scollare le nostre falangi dalle posizioni ormai acquisite per… riadattarle comodamente sui nostri controller pronti a dimenticarcele sopra per tanto, tanto tempo.

Il viaggio di NintendOn nel mondo di Alrest, affascinante realtà sospesa nel cielo che sarà teatro degli eventi di gioco, è iniziato da qualche giorno e ha già raccolto una buona dose di entusiasmo. Per quel che concerne gli aspetti più tecnici e dettagliati vi rimando fin d’ora al lavoro del nostro Emil Petrov, attualmente immerso (o irrimediabilmente disperso) nella nuova opera di Monolith Soft. E già in preda ai classici deliri da infatuazione videoludica che solitamente generano lunghissimi messaggi vocali su Whatsapp/Telegram da cui è difficile estrapolare informazioni realmente utili se non sullo stato di salute del redattore – in questo caso evidentemente alterato.
Il mio compito è invece quello di fornirvi un primo e più morbido approccio al titolo, che in questi giorni è preda di una campagna di dissezione e spolpamento in nome del click che però rischia di impattare enormemente sulla fruizione finale da parte del giocatore: già il Nintendo Direct non è stato certo parco di spoiler piuttosto rilevanti, ci manca solo che qualche redattore che confonde critica con cronaca si lasci scappare ulteriori dettagli. Impugniamo quindi la nostra Gladius e diamo inizio alle danze!

Il primo aspetto da prendere in considerazione è legato ad una componente prettamente estetica che però segna il passo con i predecessori: le facce. Le dannatissime facce. Memori forse del numero spropositato di lamentele e trollate in merito ai volti dei protagonisti dei giochi precedenti – con titolo di “worst offender” da attribuire al primo episodio e ai suoi strepitosi jpg spalmati con totale assenza di profondità – a questo giro si è lavorato in modo piuttosto consistente per donare espressività al cast, anche a sostegno delle numerose cutscene che costellano l’avventura.
Non mancano i margini di miglioramento, in particolare guardando le bocche un po’ troppo simili tra loro e la conseguente tendenza a mostrare tante facce da pesce lesso anziché palesare un genuino stupore, ma l’inserimento di tante sfaccettature somatiche che a tratti sfociano nel caricaturale in stile manga veicola le emozioni con un’efficacia a cui non siamo abituati. Sì, forse sono stati alleggeriti un po’ i toni, ma la severità di alcuni contesti è giusto che venga di tanto in tanto allentata dal comic relief di turno, perché sofferenza e sacrificio potrebbero essere dietro l’angolo.
Se i personaggi hanno guadagnato in espressività, non da meno è il mondo di gioco: Alrest ha la capacità di mostrarsi tanto tradizionale quanto innovativo, facendoci sentire in breve a casa pur donandoci un senso di freschezza legato a tante, piccole variazioni sul tema che poi a conti fatti non stravolgono l’originale concezione. Il taglio rispetto a Xenoblade Chronicles X è netto, abbandonando l’idea dell’esplorazione tridimensionale totale che si dipanava anche in verticale e in modo piuttosto coraggioso. Si torna all’umanità legata a doppia mandata ai titani, questa volta vivi e vegeti! Vederli muovere sullo sfondo picchia duro sul tasto del “senso of wonder” di cui tanto necessita una produzione simile, per alcuni tratti profondamente derivativa.
Non si incorre nel rischio spoiler nell’evidenziare quanto possa rivelarsi vincente la scelta di “moltiplicare” il numero di queste creature, garantendo così non solo una diversificazione di biomi e stili, ma stendendo le basi dell’identità delle razze presenti fin dalla fase di design. Ovviamente creature differenti hanno stili di vita differenti, anche al loro interno, e questo si riflette nel modo in cui interagiscono con i titani stessi. Spettacolare il modo in cui i Nopon riescono a diventare “ospiti” del loro titano usandolo in pratica come pallone aerostatico a cui sono agganciati quasi fossero su una mongolfiera. Attenzione però: l’apparente sinergia tra specie viventi e titani non deve far dimenticare che è in corso una enorme crisi destinata a porre fine alla vita di tutte le creature!

L’aspetto che forse più ha generato in me la voglia di tuffarmi a capofitto nell’avventura risiede nel bizzarro ma spettacolare “mare di nuvole” che caratterizza il mondo di gioco; attorno ai titani è possibile sguazzare sgraziatamente di costa in costa muovendosi proprio come all’interno di uno specchio d’acqua, in un contesto quasi surreale (sì, lo so che stiamo parlando di un videogioco…) che ci conquista quando di accorgiamo della presenza delle maree, che regolano la possibilità di esplorare alcune zone in determinate ore del giorno.
Ed è proprio per questo che il nostro protagonista, Rex, indossa un bizzarro costume che ricorda tanto un palombaro – con i dovuti compromessi stilistici d’obbligo per un JRPG: egli infatti è un “salvager”, ovvero una persona con tendenze autolesioniste quali tuffarsi nel mare di nuvole per raccogliere tesori. Come faccia con quella visibilità non ci è dato sapere, di certo gli andrebbe spiegato che portarsi appresso anche i mostri oltre che i tesori non è la mossa più saggia quando si compie un’operazione di recupero all’interno di una città. Si tratta comunque di una delle operazioni tendenzialmente più divertenti tra quelle base, richiedendo relativamente poche risorse per essere attuata (sono necessari specifici “cilindri” acquistabili nei negozi) e garantendo l’ottenimento di un discreto numero di materiali e collezionabili in breve tempo. So già che mi ci perderò con conseguenze drammatiche per i miei progressi di gioco, abbandonati in favore della raccolta dei più inutili degli oggetti – ma in abbondanza, eh!
Arrivati a questo punto inizio a percepire lo spillo che il buon Emil sta infilzando nella mia bambolina vodoo per vendicarsi di tutte le informazioni che sto elargendo in questa anteprima e che non potrà quindi replicare in fase di recensione, ma c’è da dire che il numero di “cose da fare” è talmente vasto da farci anche 3 o 4 articoli da qui entro la fine dell’anno (Nd Pittanza – sì, praticamente sto assegnando del lavoro in diretta). Ad ogni passo troviamo un segreto, un punto di riferimento, luoghi dove scavare, mostri immensi da affrontare: la scala è perfino superiore a quella del primo capitolo e punta a strutturarsi in modo più conveniente per il giocatore. Abbiamo perfino la possibilità di muovere a piacimento le lancette dell’orologio per scegliere l’ora del giorno in cui muoverci…
Ogni membro del party, attraverso le sue Gladius/Blade, dispone di abilità specifiche che si intrecciano con l’esplorazione in modo proattivo e indispensabile in ottica completismo: in diverse istanze è possibile incorrere in elementi interattivi (siano questi porte, disegni misteriosi, punti di scavo o specchi d’acqua in cui immergerci) che si aprono a noi a seconda della nostra efficienza nel contesto. Capacità di decifrare scritti antichi o di scassinare sono solo una parte delle capacità richieste per accedere ad alcune zone altrimenti inaccessibili e dovremo quindi sviluppare il nostro rapporto con le Gladius/Blade adeguate all’occasione per ottenere tali skill.

E probabilmente è nelle Gladius/Blade che risiede il fascino maggior della produzione per tutti coloro che amano “acchiapparli tutti“: i nostri eroi possono avere al proprio servizio un vero e proprio esercito di armi viventi, generate attivando i cristalli che troviamo nel mondo di gioco. Ognuna di queste prende forma in modo completamente randomico pescando tra le tipologie base di fisico (normale, grosso, femmineo, animale) a cui aggiungere un’arma e un’elemento, che determinano la tipologia della Gladius/Blade (attaccante, tank o healer) così come le abilità a sua disposizione.
È vero che le Gladius/Blade comuni non sono il top quanto a statistiche e abilità, mancando tra l’altro di tutta una serie di skill specifiche tra cui quelle menzionate nel paragrafo precedente, ma la possibilità di generarle in continuazione e assistere alla loro nascita incrociando le dita (no, niente lootboxes a pagamento…) perché venga fuori quella che ci serve, aggiunge un livello all’esperienza generale. Anche perché “Non si butta via niente” (cit.) ed ogni Gladius/Blade di troppo può essere mandata in missione con le altre allo scopo di ottenere oggetti e punti extra per le abilità. Esistono anche delle blade rare, create appositamente da grandi matite del mondo videoludico o dell’animazione (tra cui una molto speciale per i fan della serie Xeno), ma è un argomento che tratteremo in altra sede.

E questo è solo l’inizio, un breve preambolo a quello che ci attende. Avrei voluto parlare in modo più approfondito di personaggi ed eventi, ma la facilità con cui trailer e comunicazione ufficiali hanno sdoganato alcuni momenti cruciali mi ha portato a tirare il freno e gettare semplicemente le basi su cui il nostro buon Emil possa costruire. Di sicuro l’impressione iniziale è di avere tra le mani un titolo completo, articolato e ambiziosamente intento a dimostrare ai predecessori come si possa strizzare l’occhio al giocatore occasionale mantenendo al tempo stesso alto il livello qualitativo e di coinvolgimento.
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