I’m not living, I’m just killing time
RiME è un progetto di Tequila Works che nel tempo ha subito enormi cambiamenti di direzione artistica e di game design. La creatura della software house spagnola è passata dall’essere un’esclusiva per PlayStation 4 – uno dei primissimi titoli ad essere svelato per la console Sony – a titolo multipiattaforma, vivendo una release decisamente tormentata. Trattasi di un titolo che strizza l’occhio tanto ai prodotti di Ueda, Ico e The Last Guardian in particolare, quanto all’immaginario creato dai maestri dello Studio Ghibli.
Dopo tanti mesi di attesa finalmente la pubblicazione della versione per Nintendo Switch è giunta tra noi per mano di Tantalus Games, in un mese zeppo di pubblicazioni di software house third party. RiME vive, in questa sua particolare iterazione, di un conflitto enorme tra la delicatezza e la qualità della sua parte artistico-narrativa, così come quella emozionale, e la grossolanità e decadenza del suo comparto tecnico.
L’avventura è una di quelle che vale la pena essere vissute e accompagna i giocatori in un viaggio nei meandri dell’elaborazione del lutto: Negazione, Rabbia, Patteggiamento, Depressione e Accettazione. Un filone di giochi che negli ultimi tempi si è reso palese su una moltitudine di console ma che su Nintendo Switch ancora mancava.
Questo passaggio cognitivo nella comprensione del gioco, la realizzazione di star vivendo e ricostruendo un processo così importante nella vita di ognuno di noi, arriva tardi nell’esperienza. In realtà il gioco, che si spiega fortunatamente pochissimo, ci lascia sospesi in una dimensione di inconsapevolezza intorno ai contorni dell’avventura. Il giocatore non riesce realmente a capire cosa stia succedendo, se non a intuirlo, prima delle battute finali di trama, quando inizia a collegare tutti i riferimenti lasciati sparsi qui e là dagli sviluppatori nel corso dell’avventura.
Le ambientazioni del gioco rispecchiano in più di un’occasione il tema principale della fase dell’elaborazione del lutto, accompagnati da personaggi e le musiche: la proposta ludica di Tequila Works riflette quella che è la spina dorsale narrativa, e il pretesto che tiene in piedi tutto il gioco.
Anche i colpi di scena sono ben orchestrati e incastrati tra di loro: il lavoro della software house svolto nel non mostrare troppo della natura del canovaccio, nel nascondere le identità dei personaggi è di ottimo livello. Di fianco a una pianificazione così minuziosa ed efficace del gioco in sé però, c’è una realizzazione tecnica, duole dirlo, gravemente insufficiente.
In un gioco del genere il comparto tecnico serve fondamentalmente a tenere in piedi il comparto artistico, che di per sé sarebbe spettacolare. I colori sono decisi, i contrasti cromatici scelti dal team artistico sono evocativi e funzionali al gioco, le ambientazioni sono ricche di particolari, diverse tra di loro e caratterizzate da strutture a volte aliene e a volte familiari. Un momento sembra di essere in un’isola Greca, con le sue case bianche e gli arbusti secchi, e un’altro ci si ritrova catapultati in Laputa: Castle In the Sky in compagnia di simpatici automi.
Tutto questo però su Nintendo Switch manca di struttura a causa di una conversione zoppicante – e qui partono i rimproveri a Tantalus. L’Unreal Engine 4 su Nintendo Switch abbiamo avuto modo di conoscerlo con diversi titoli ma questo senza dubbio è quello ottimizzato peggio: Il titolo gira a 720p, ma probabilmente anche meno in alcune situazioni, in modalità Dock, scendendo in modo anche drastico in modalità portatile. In alcuni precisi momenti del gioco la conformazione della scena, la bassissima, veramente bassa, non è un eufemismo, risoluzione nativa del titolo e un incredibile quanto inspiegabile color banding hanno totalmente devastato l’esperienza che gli sviluppatori volevano offrire.
Ma non solo: le texture sono molto poco definite ed è presente moltissimo aliasing sugli elementi di contorno, come le onde del mare. Questi compromessi tecnici tuttavia non sono bastati a rendere RiME un gioco accettabile sul piano della fluidità: il titolo singhiozza sotto la soglia dei 30 frame per secondo per tutta la durata dell’avventura, anche se è percepibile un miglioramento nelle fasi finali. Purtroppo è presente anche un pesante stuttering: l’immagine in alcune circostanze smette totalmente di muoversi per riprendere qualche istante dopo.
Tanti i bug relativi alla collisione degli oggetti e non mancano i salti nel vuoto sotto la mappa del gioco, accompagnati da sporadici glitch audio. È probabilmente il gioco peggio ottimizzato su cui ho messo le mani dall’uscita di Nintendo Switch ad oggi. Il titolo non sfrutta nemmeno in maniera soddisfacente l’HD rumble o il touch screen, che proprio non è supportato.
Tutto il comparto tecnico, ahimè, mina in maniera irreparabile l’intera fruizione del gioco, che sebbene proponga un’idea interessantissima crolla inesorabilmente sotto il peso di una conversione terrificante. Il gameplay è essenziale, e penso sia una scelta voluta dai ragazzi di Tequila Works, il gioco su questo aspetto altro non è che un avventura che fa affidamento a dei puzzle ambientali da risolvere per andare avanti con la trama. I puzzle sono abbastanza telefonati e di facile risoluzione, non pongono una vera e propria sfida al giocatore. Le sezioni platform sono molto semplici e non regalano grandi soddisfazioni. Il massimo della sfida risiede nel voler trovare tutti i collezionabili del gioco.
È un enorme peccato dover affossare un titolo del genere perché di per sé possiede un potenziale enorme, ma è evidente che un gioco non pensato per Nintendo Switch, e nemmeno adattabile, è meglio che rimanga alla larga dalla console.