Atmosfera da incubo oltre i semplici pixel
Ho deciso di dedicarmi alla recensione di The Count Lucanor perché il titolo richiamava quello di un libro che lessi al liceo durante le lezioni di letteratura spagnola. Le uniche informazioni che possedevo sul gioco provenivano dalla descrizione di un mio amico, che lo definiva un RPG pixeloso dalla trama inquietante: mi aspettavo più o meno un’avventura fantasy dai toni un po’ dark. Mi sbagliavo.
Hans ha dieci anni, suo padre è partito per la guerra ed ha lasciato lui e sua madre a vivere nella miseria. Non ha un soldo, ma vive comunque in una bella casetta con un colorato giardino ed un simpatico cagnolone, con il quale corre e gioca felicemente. Se si accontentasse della sua condizione ci sarebbe poco da raccontare, ma purtroppo la piccola peste cerca la ricchezza, perciò decide di lasciare il focolare ed esplorare i boschi per trovare fortuna. La parte allegra e festosa del titolo finisce qui, dopo circa 15 minuti di prati fioriti ed incontri con viandanti chiacchieroni, ed inizia l’incubo: ci ritroviamo di notte, tra fiumi di sangue e caproni bipedi che non vedono l’ora di azzannarci.
Arrivati in un vecchio castello potremmo pensare di essere al sicuro, ma i nostri guai sono solamente iniziati e un fastidioso spiritello ci sfida ad indovinare il suo nome entro l’alba, un classico tema delle fiabe. Non possediamo alcuna arma e l’unica nostra risorsa è portare con noi candele, per illuminare la strada e per posizionarle negli angoli delle stanze, cercando di vedere quello che ci circonda. Ad essere onesta, avrei preferito NON vederlo in molte occasioni, poiché nel castello non c’è nulla di simpatico: andando avanti con le ore di gioco appaiono mostri sempre più inquietanti, che vanno a sommarsi alle trappole ambientali presenti. Il nostro obiettivo è risolvere i puzzle nelle varie camere per ottenere le lettere del nome dello spiritello, ma non esiste un’unica via per riuscire: a seconda delle nostre scelte, possiamo trovare maniere alternative per superare gli enigmi. Aiutare le persone che incontriamo, ad esempio, può semplificarci la vita. Anche farle uccidere potrebbe.
Il gameplay si divide perciò tra sezioni stealth e risoluzione di rompicapi, il tutto reso più interessante dal costante senso di ansia che aleggia nell’aria. Non ci sono jumpscare, ma è impossibile non sentire la tensione, complice la totale assenza di mezzi per difendersi dagli attacchi nemici. Hans cammina davvero lentamente, perciò scappare non è un’opzione, e siamo costretti a trovare nascondigli in giro per il maniero. Inoltre le nostre risorse sono limitate, e finire le candele o le monete d’oro potrebbe essere un grosso problema: senza luce non possiamo controllare i movimenti dei nemici, e senza soldi non possiamo salvare il gioco.
Eh sì, per salvare dobbiamo pagare: dover effettivamente riflettere bene su quando impiegare il nostro denaro aggiunge inquietudine. Si potrebbe pensare che la grafica in pixel-art renda il tutto meno spaventoso, ma in realtà la resa è ottima e lo stile non fa nessuno sconto. Peraltro, gli sprite e le animazioni dei personaggi sono realizzate con grande maestria, e le cut-scene (purtroppo rare) sono davvero magnifiche.
The Count Lucanor è stata un’ottima compagnia per il giorno di Halloween, e mi ha davvero stupito. È un titolo capace di emozionare e possiede una forte personalità e un comparto artistico che ho apprezzato. La storia si finisce in poche ore, ma la presenza di diversi finali (più o meno drammatici) aggiunge longevità e fa desiderare di rigiocare per cambiare qualche nostra decisione incauta. Pur non esibendo funzionalità extra su Nintendo Switch, è perfetto per essere giocato in modalità portatile, magari a letto con la luce spenta. Chiaramente non è un titolo per tutti, poiché chi non apprezza le atmosfere pesanti potrebbe preferire starne alla larga. Io stessa non sono una grande fan degli horror, ma ho amato questa discesa nell’abisso, che mi ha ricordato i momenti più oscuri e disturbanti delle favole e delle leggende che si raccontano da bambini.
The Count Lucanor comunque non eccede mai, e non scade mai nel disgustoso o ripugnante, anche grazie a dialoghi ironici che spezzano il ritmo e danno un po’ di respiro al giocatore. Da segnalare infine l’assenza della lingua italiana, una delle poche che mancano all’appello nel menu di opzioni del gioco. I dialoghi non sono mai troppo complessi, ma comprenderli è essenziale per riuscire a proseguire nel titolo, che è già abbastanza impegnativo di suo, perciò consideratelo in caso decidiate di cimentarvi nell’avventura.