20.000 leghe sotto il mare… delle opportunità spercate.
Ci provi e riprovi. Tenti ancora e ancora e ancora. E poi alla fine ti accorgi che, anche cercando di convincerti che quello che hai davanti agli occhi è quello che aspettavi, molte delle tue attese sono state disilluse. Questo è come mi sono sentito dopo aver approfonditamente navigato sotto gli oceani di Earth Atlantis, titolo sviluppato Pixel Perfex e pubblicato in esclusiva per Nintendo Switch da Headup Games. Quando venne mostrato per la prima volta in video il suo stile grafico e la sua anima da shooter bidimensionale mi avevano rapito come nessun altro titolo indie presentato (a parte Nine Parchments, ma questo è ancora di là da venire) e avere l’occasione di metterci mano è stato un orgoglio per me.
Earth Atlantis sembrava essere una digitalizzazione di un libro di avventure, una trasposizione videoludica di un racconto di Jules Verne, una epica traversata piena di suspanse. E invece non è niente di tutto questo perché, se si esclude il background di una terra completamente sommersa in cui l’umanità è quasi del tutto sparita lasciando il posto a creature marine meccaniche di varia foggia, il gioco manca di un filo conduttore di peso, chiarendo quasi fin da subito che in questa avventura saremo noi, il nostro sottomarino, un mare di mostri e nient’altro.

Non c’è nessuna scena di intermezzo, nessun dialogo o testo a schermo che concedano al gioco quel guizzo di personalità in più tale da renderlo un titolo gradevole sotto un profilo narrativo. Un vero peccato considerato che il tema trattato avrebbe permesso sicuramente di andare a toccare molti dei classici della letteratura e anche temi attuali. Una occasione sprecata anche perché la totale assenza di missioni con un minimo di scopo che non sia quello di annientare le meccaniche creature che popolano gli abissi non permette quel pizzico di immedesimazione che non avrebbe guastato. Nessuna missione di salvataggio o protezione; saremo solo una falce portatrice di morte per il popolo subacqueo delle macchine. Siamo difronte ad un puro shooter bidimensionale è vero, ma i rappresentati di questo genere non posso vivere solo del retaggio del passato.
Tutto si riduce a due semplici azioni: esplorare e sparare. La prima sarà necessaria per trovare la strada per recuperare potenziamenti per le nostre armi dai nemici sconfitti (e anche energia vitale) e rintracciare inoltre il percorso per raggiungere i boss più grandi e ostici. Nella seconda fase invece, armati di tutto punto e con il coltello tra i denti dovremo avere la meglio sui mostruosi boss che saranno il nostro vero fine ultimo. Qui il gioco dà il meglio di sé con mostri che godono in un pattern d’attacco vario e molto ben bilanciato che dona a queste sezioni un elevato tasso di sfida e game over molto frequenti. Morire vuol dire ripartire dall’ultimo checkpoint, rappresentato da alcune boe sottomarine, con potenziamenti azzerati, ma senza costringerci a dover affrontare nuovamente i boss già terminati, permettendo di risparmiare le imprecazioni per l’eventuale perdita di tutto il lavoro fatto fino a quel punto.

Apprezzabili, seppur un po’ limitati, i comandi di gioco: tutto il movimento è gestito dallo stick analogico e gli unici altri due pulsanti usati sono quello per il fuoco e quello per invertire la rotta del sottomarino. Sparare implicherà un rallentamento dei movimenti, ma saranno rare le volte che terrete il dito staccato da questo taso. Purtroppo durante il fuoco non è possibile controllare la direzione dei colpi e in generale nemmeno la progressione dei potenziamenti delle armi che seguono uno schema stabilito. La gestione delle armi secondarie può lasciare interdetti poiché è collegata a tasto di fuoco e i bersagli delle stesse sono completamente automatici e non possono essere gestiti dal giocatore e per di più anche la loro quantità esigua non fa bene alla profondità del gioco. Quello di cui si sente la mancanza è una mappa o minimappa che delinei i contorni dell’ambiente di gioco anche solo in alcuni momenti salienti o tramite l’uso di un sonar a impulsi. Del resto siamo sott’acqua e un sonar è il minimo per muoversi senza perdere la bussola nell’intricato reticolo di cunicoli, grotte e gallerie di cui è composto il fondale.
Il continuo susseguirsi di cunicoli senza sbocchi e passaggi ripetuti in alcune sezioni del fondale alla disperata ricerca dei nostri obiettivi, è spezzato di tanto in tanto dalla creazione di nuovi passaggi attraverso le caverne sottomarine di Earth Atlantis che porta alla scoperta di nuovi cunicoli e nuovi obiettivi. Peccato che tutto questo sia pura conseguenza della morte di un boss e non abbia alcuna particolare scena di intermezzo che ne enfatizzi l’importanza.

Un vero peccato perché fin da subito le premesse dettate dallo stile grafico avevano fatto ben sperare. Come su un diario di un ottocentesco esploratore di mondi ignoti, il colore ingiallito dello sfondo pare una carta antica di un quaderno di appunti sul quale il capitano del sottomarino ha graffiato con la penna per delineare la sua nave, il panorama degli abissi e soprattutto l’enciclopedia dei suoi mostruosi abitanti.
Un concentrato di stile con solo tre colori (giallo paglierino, nero e grigio) che riesce nel magico intento di ricreare un mondo di gioco sublime nelle sue singole parti che pecca solo per l’assenza di una qualche reale forma di vita umana. Gli unici rimandi di umanità sono caratterizzati da monumenti, veicoli e strutture artificiali che ricordano il passaggio dell’uomo su questa terra distopica dove l’acqua e le macchine hanno preso il sopravvento. Quando si arriva al cospetto di uno dei boss bisogna dare atto a Pixel Perfect che il lavoro fatto sui modelli e sulle animazioni, benché semplificato dallo stile generale del gioco, è ammaliante al punto quasi dal dispiacersi di essere causa della sua distruzione. Verne sarebbe stato orgoglioso di questi mostri.

Inforcate le cuffie, il senso di sospensione tipico di un sommozzatore è perfettamente reso sia dai suoni leggermente ovattati, sia dalla colonna sonora lenta e cadenzata che aumenta di ritmo solo con l’ingaggio di uno scontro con un boss. Un comparto sonoro che quindi svolge il suo compito di accompagnamento anche se in alcuni frangenti la ripetitività di alcune tracce e la loro mancanza di enfasi ne fa affievolire il carattere.
Purtroppo a livello di contenuti il gioco langue anche sotto il profilo delle modalità e sul fattore rigiocabilità. Una volta finito ci saranno poche occasioni di riprendere in mano l’avventura se non quella di provare gli altri modelli di sottomarino disponibili. L’assenza di un multiplayer (anche solo locare) rende ancora di più l’idea di quanto il viaggio negli abissi di Earth Atlantis sia gradevole, ma non eccellente. Poteva essere la grande avventura di un impavido esploratore in un mondo ignoto e violento, invece si è rivelata una pallida cronistoria delle efferate azioni omicide di un sottomarino seminatore di morte. C’era un ventaglio di possibilità alle quali attingere, ma Earth Atlantis è riuscito a coglierne solo alcune portando a casa il compito ma lasciando bolle d’aria inutilizzate attorno alla trama e alle modalità di gioco. Sarà un fantastico passatempo per qualche ora, un piacere per gli occhi ad ogni partita e un’apprezzabile variazione sul tema per gli appassionati di shooter bidimensionali.