Nel selvaggio West, tra robot a vapore e selvaggi
Nella mitologia di Steamworld, gli esseri umani sono un manipolo di sopravvissuti alla grande guerra nucleare avvenuta al seguito dell’avverarsi della visione di Charles Babbage (1791-1871) matematico e filosofo britannico, ancorché mente brillante, in grado di mettere su carta un vero calcolatore programmabile quando l’elettricità era stregoneria. L’umanità in seguito avrebbe inventato i primi congegni meccanici in grado di aiutare l’uomo e semplici robot. Come ogni buona tecnologia però ci sono sempre degli effetti collaterali, e prendono il nome di “armi” e “guerra su scala globale”. In questa dimensione alternativa, sono gli steambot ad avere pulsioni umane, ma forse perché ipoteticamente più razionali, sembrano più pacifici. Ce ne accorgiamo quando Dorothy arriverà a El Machino, dove incontrerà altri suoi simili, fatti come lei di metallo e vapore, completamente dediti al proprio lavoro, onesti, leali, amichevoli.
Sentimenti che anche Dorothy possiede e riversa nella ricerca ossessiva di Rusty, protagonista di quel primo Steamworld Dig (e del quale si sono perse tracce fin da allora a quanto pare…) che vedeva Dorothy come personaggio secondario e che ha fatto la fortuna di Image&Form, non il primo gioco, ma sicuramente la chiave di volta che ha aumentato la forza lavoro dello studio portandolo a ben venti persone, un numero assolutamente invidiabile per un indie (seppur ridicolo per lo standard dell’industria).
Se già il primo Steamworld Dig brillava per la bellezza del setting e del character design, per l’azione drogante dell’estrazione e vendita dei minerali miscelata alla curiosità dell’esplorazione, quello che si poteva chiedere al potenziale seguito, senza cambi di formula (cosa che aveva spiazzato chi è arrivato sprovveduto al pur ottimo heist), era la classica quadratura del cerchio, o per essere più precisi, l’ ulteriore raffinamento di tutto ciò che c’era di positivo. Per non lasciare nulla al caso la folle brigata di Brjann Sigurgeirsson ha rinunciato alla generazione procedurale dei livelli preferendo puntare sulla propria esperienza e perizia messe al servizio di un level design puntuale e ben articolato. Il compito è sempre quello: scendere nel sottosuolo a estrarre minerali a colpi di piccone (o anche di pugno meccanico successivamente ), quadratino dopo quadratino (quelli che contengono roba buona ben evidenziati), alla ricerca di minerali sempre più preziosi da portare in superficie e scambiare con denaro sonante. In questo frangente accade qualcosa a livello subconscio, qualcosa di piacevole e pericoloso.
Vuoi accumulare ricchezze da cambiare in upgrade dei propri accessori, certo, ma vuoi anche scoprire cosa c’è in questi dungeon verticali, creare il tuo sentiero personale a cui ritornare, affinare la propria esperienza e la propria tempistica. Steamworld Dig è uno di quei giochi che permette la proiezione del proprio mondo interiore dettando il proprio tempo al gioco (una rarità nello scenario ludico pieno di giochi che ti mettono fretta quando non è necessario averne, aumentando la pressione e il rischio certo, ma artificiosamente), facendo cadere i pattern dei nemici nei propri schemi mentali, ispirando la creazione di regole comportamentali gradevoli da mettere in pratica. Così, come nel mondo reale quando arrivo a metà della coppa del nonno, scavo in fondo dai lati per ribaltare il gelato e anticipare la parte cremosa, nel mondo di Steamworld Dig 2 scavo buche intorno ai nemici per isolarli e poi tornare da loro in un secondo momento, dopo aver estratto i minerali.

Ma questo ciclo perfetto e armonioso era già godibile nel primo Steamworld Dig, e seppur ci sia un equilibrio perfetto tra nuovi potenziamenti (è pur sempre un metroidvania, ricordate), tempo per ammaestrarli e difficoltà dei segmenti di dungeon, l’esecuzione delle azioni muta in endemia, portando il giocatore a credere che sia il gioco ad essere troppo facile, anziché lui a esser più bravo. Uno dei feedback dai fan più sentiti avrà riguardato la scalabilità, il risultato sono alcune skill che rendono il gioco molto più difficile. Ma in realtà è proprio lo skill tree stesso ad essere genuinamente flessibile: per ogni accessorio sono disponibili diverse abilità “installabili “ pagandone il costo in ingranaggi da trovare in giro per i dungeon (o pagando un npc, soluzione di ripiego comprensibile dato l’astuzia con la quale sono stati disseminati negli anfratti più nascosti dei livelli ) e il bello non è solo nel fatto che queste abilità siano utili e bilanciate alla perfezione, ma soprattutto che è possibile disinstallarle e installarle a proprio piacimento in qualsiasi momento e in qualsiasi ordine.
Altra novità gradita quanto quella degli ingranaggi, è la presenza di 42 (!) artefatti collezionabili, anche questi richiedono buona dose di ingegno e permettono di ricevere da un npc i blueprint, aiuti attivabili sempre tramite ingranaggi. Se si deve andare in un luogo a rischio caduta quindi magari conviene puntare sulle abilità dell’armatura e delle scarpe, e se non si hanno abbastanza ingranaggi li si può prendere disabilitando abilità che per ora non servono. Questo rende l’avventura adatta a tutti i palati, da chi vuole avere un indicatore sulla mappa per sapere subito dove andare per proseguire la trama, a chi vuole nemici esplosivi per testare la propria badassaggine.

A proposito di trama: è un aspetto più curato rispetto al capostipite, nulla di trascendentale e colpo di scena finale telefonatissimo ma grande cura nelle descrizioni degli artefatti – divertentissime – e soprattutto nei dialoghi con Fen, una fiamma biancoazzurra pixellosissima e un po’ crudele che scandirà le nostre azioni con commenti non richiesti. La durata affligge di nuovo il mondo di steamworld, ho completato il gioco in appena dieci ore (ma me la sono presa comoda per alcuni dungeon secondari) scoprendo poco più di metà dei segreti, dietro cui si cela l’endgame una volta svelati al 100%.
Ho menzionato i dungeon secondari. Si tratta di alcune caverne che deviano dal gameplay principale per andare sui sentieri del puzzle, e sono tutti (o quantomeno tutti quelli che ho trovato lo sono) pillole di game design di quello buono, che mette alla prova nervi e riflessi del giocatore e si mostrano sempre inflessibili verso il giocatore incapace ma mai punitivi.

Trovare dei difetti in steamworld dig 2 non è facile. Forse avrei voluto più boss, più momenti memorabili (il più memorabile spicca davvero e arriva a metà gioco ma non voglio rovinarvelo). E forse questi sono dei confini difficilmente oltrepassabili per un indie, ma il fatto è che ci si dimentica facilmente che questo sia un lavoro fatto da un numero di persone inferiori a quelle presenti nei Pit-raduni (E vi assicuro che sono tante NdPittanza, colui che organizza i Pit-raduni). E che indizi potrebbe avere chi non conosce la realtà di image&forge davanti a un mondo disegnato così bene e musicato adeguatamente, ad animazioni perfette racchiuse in una produzione tecnicamente ineccepibile (e fidatevi, il 2D non è una discriminante )? Forse un solo indizio: la foto accessibile nel menù extra che fa pensare a un ambiente lavorativo ideale.
Ho sempre una certa ritrosia nello scrivere “esperienza” perché col passare del tempo questo sostantivo ha raggiunto una connotazione negativa. Le esperienze indie sono quelle puzzette intellettuali con gameplay scarno e condotte gradevoli all’ olfatto solo per un’idea azzeccata o uno stile da favola. Steamworld Dig 2 invece è un signor gioco confezionato da uno studio fiero di sé, che ha investito sulle idee giuste e le ha perfezionate per venderci uno dei giochi migliori dell’eshop, al quale è sempre piacevolissimo tornare. Divertirsi è un attimo, diventare dipendenti automatico.