Grazie Giulio, di questa dritta per il ponte
Il confine tra genio e follia dev’essere molto sottile e mi trovo sempre perplesso davanti alla vita e alle opere in grado di aprirmi la mente, opere come quelle di M.C. Escher. Perplesso perché quando mi piace qualcosa il mio cervello si mette subito in moto per sublimare non solo l’opera ma anche il creatore. Ma poi scopro che David Bowie era stato accusato di pedofilia a più riprese, Marvin Gaye era così omofobo da far aggiungere la “e” al proprio cognome e di Mick Jagger forse è meglio non parlare proprio. Ho imparato quindi ad apprezzare l’opera a prescindere, giudicando solo l’opera senza approfondimenti sulla vita dell’autore, risparmiando a me stesso più di una delusione. Non essendo un appassionato di arte non so se è il caso del famoso incisore olandese, del quale apprezzo lo stile surreale ma anche il solo semplice fatto di dimostrare, con i suoi lavori, di essere stato un sognatore molto più grande di quanto potrò mai esserlo io, e come tutti i sognatori, possedeva uno sguardo al di là delle cose.
Dato che per legge c’è un numero di caratteri ben preciso da non superare nelle recensioni, e che la tolleranza alle introduzioni che non parlano del gioco da parte del lettore probabilmente è sempre minore col passare del tempo, The Bridge è un ponte (ehm) tra le litografie in bianco e nero di Escheriana memoria e un problema di logica (uno per livello intendo) in formato videoludico. Il gioco è accessibile a chiunque per via dei controlli semplicissimi: si muove il personaggio principale con l’analogico sinistro o i tasti movimento del joycon sinistro e con un tasto azione si può riavvolgere il tempo, a mo’ di Braid. Ma il comando più importante è deputato ai dorsali sinistro e destro: la possibilità di poter ruotare in senso orario o antiorario l’intricato (o meno) labirinto nel quale si trova il nostro alter ego e del quale deve trovare via d’uscita tramite porta e talvolta una o più chiavi prima.
Strutture che in 3D sarebbero vicoli ciechi, in questa estetica dall’ azione bidimensionale diventano strade aperte, basta un giusto ribaltamento della prospettiva. Una colonna può diventare un ponte, così come un’area sicura un baratro. Con il passare dei livelli nuove meccaniche (e combinazioni di nuove e vecchie ovviamente) vanno a intarsiarsi nel mosaico che compone questa esperienza lunga 24 livelli (+ modalità specchio e finale alternativo, ottima durata quindi per un indie di questo tipo): cambio di colore da toni di grigio a un etereo bianco del protagonista, sfere assassine, vortici insidiosi, interruttori, nuove regole fisiche da capire e sfruttare a proprio vantaggio. Il gioco è tutto qui: in ogni livello bisogna arrivare a destinazione (la porta), e per farlo bisogna ruotare il livello facendo attenzione a ostacoli o sfruttarli ai nostri scopi, potendo anche contare sul rewind per non dover rifare tutto daccapo. A fare da collante tra un capitolo e un altro una breve trama, austera e poetica ma troppo lieve per essere memorabile.
Ty Taylor e Mario Castañeda mi avevano già messo alla prova con il successivo Tumblestone, al quale misi un voto molto alto (e del quale non mi pento con il passare del tempo) e dato che abbiamo già recensito The Bridge nella sua versione Wii U, mi ritrovo a dover confermare tutto e segnalare lievi differenze.Il motore si comporta estremamente bene. senza rallentamenti, seppur i caricamenti prima di ogni livello durino qualche secondo di troppo. I comandi tradizionali sono già precisi ma “scivolosi” di suo (per volontà di programmazione), altamente sconsigliati quindi il touch e il giroscopio, che funzionano bene ma che nulla aggiungono alla gradevolezza dei controlli. Visivamente invece, essendo lo schermo di Switch migliore rispetto a quello contenuto nel gamepad di Wii U e supportando una risoluzione più alta, è anche più bello da vedere, perfetto per la grafica splendidamente disegnata a mano.
Non c’è davvero nient’altro da aggiungere: The Bridge è un bel gioco che merita almeno di essere provato. Dico almeno perché, sebbene la coppia di talentuosi game designer abbiano reso accessibile il gioco a qualsiasi tipo di giocatore grazie a controlli semplici e la possibilità di poter avere successo nei livelli grazie anche solo all’intuito, The Bridge diventa insospettabilmente ostico in alcuni livelli e se siete quel tipo di giocatore che anziché intestardirsi alla ricerca dell’eureka, abbandonate tutto per rimettere Splatoon 2 (o qualsiasi sia il vostro gioco preferito attuale), potreste considerare The Bridge un acquisto avventato. Sulla qualità dell’esperienza comunque non si discute: anche solo pensare a dei rompicapo così complessi desta meraviglia.
Per quanto riguarda il voto, non mi sento di allinearmi con quello dato da Alessandro Molinari. Posto che il voto risponda (non solo ma) anche a un’esigenza personale, quella di valutare col massimo della trasparenza e serietà un gioco, che è tale per noi, ma che è stato duro lavoro per altri, il voto alla fin fine è un numero e quello che conta, quantomeno per me quando scrivo una recensione, è far capire quanto il gioco possa entrare nella sfera di interesse di chi legga, quali pregi potrebbero avvicinarlo e quali difetti potrebbero allontanarlo.
Pur considerando l’offerta di The Bridge immutata, ho qualche riserva in più sulle musiche, adatte a creare un alone di mistero e malinconia ma facilmente ripetitive e alla lunga noiose, sulla cosmesi che ho ritenuto stancante alla lunga, per la pesantezza insita della tecnica bianco e nero (un po’ quando pensate che un film in bianco e nero sia più pesante per i vostri occhi rispetto a uno a colori, non vi sbagliate: lo è, e lo dico senza aver alcun problema di sorta nella visione dei film in bianco e nero) e sull’assenza di un sistema di aiuti, per nulla preso in considerazione in anni di porting. Nonostante questi difetti The Bridge è una grande opera prima e, consigliandovi sia questo che Tumblestone, non vedo l’ora di vedere l’opera terza.