Orgoglio italiano, imbarazzo italiota
Ultimamente sono davvero tante le occasioni in cui mi trovo realmente in difficoltà nel metabolizzare il comportamento di chi segue il mondo videoludico, forse per la vecchiaia incombente che, per genetica, attiva i recettori della polemica con frequenza direttamente proporzionale al tuo decadimento cellulare. Un po’ come i vecchi al bar – esempio fatto più volte – pronti a demolirti per ogni tua minima mancanza.
Ironia e paragoni a parte, di certo alcune situazioni sono meno evidenti di altre: se nel caso di Ultra Street Fighter II in questo stesso sito io abbia faticato a far arrivare il messaggio (ripeto ancora: non si parlava di 40€ come prezzo giusto, ma di cosa significasse valutare un gioco quasi alla cieca), oggi entriamo a gamba tesa in uno dei momenti di maggiore entusiasmo per il nintendaro e il popolo italiano intero, ovvero la presentazione di Mario + Rabbids: Kingdom Battle, certi di rischiare il linciaggio globale totale.

“Ma Pit non vorrai mica dire che non ti piace?” – Ok, fermate le cazzo di rotative: ADORO il gioco, mi sembra interessante, ben congegnato, creativo e ricco di umorismo. Adoro i rabbids in generale come personaggi e trovo che siano un ottimo match-up per gli abitanti del Regno dei Funghi. Diciamo che lo strategico alla X-Com non è proprio il mio genere e che prima di sbilanciarmi con le consuete esternazioni di “allancismo” aspetterò di provarlo a dovere, ma nessuno discute le qualità della produzione, in particolare in questo momento in cui di giocato c’è solo una demo dell’E3 (su cui spero presto di mettere le mani sopra, come ogni estate).
Sono comunque ottimista per l’efficacia con cui tutto sembra incastrarsi e anche per l’innumerevole merchandise di contorno che un’idea del genere si porta appresso (Nintendo PLEASE voglio gli amiibo del gioco! Tutti!), destinata ad essere potenzialmente la pietra angolare di tutta una nuova branca di titoli. In generale non mi preoccupa l’eventuale abuso di un brand se il risultato sono produzioni di qualità a tutto tondo – che è quello che conta.

Quello che non mi è piaciuto e che mi ha spinto a scrivere il pezzo, invece, è il consueto atteggiamento da banderuola che ha accomunato tanti nel passaggio dall’iniziale leak delle immagini alla presentazione sul palco della conferenza Ubisoft: improvvisamente un’idea da tanti evidenziata come “inopportuna”, “inadeguata”, “modo per fare soldi”, “presa per i fondelli del nintendaro che compra tutto” e chi più ne ha ne metta, si è erta come pinnacolo assoluto dello showcase non solo Nintendaro, ma complessivo di quello che è stato l’evento losangelino.
Sopra Super Mario Odyssey, sopra le meraviglie tecniche di Anthem su Xbox One X, oltre lo spettacolare Spiderman di Insomniac… improvvisamente nulla ha retto il confronto, tutto quanto visto si è sgretolato perché (quasi d’ufficio) Mario + Rabbids è divenuto “Best of the Show” e non mostrare adeguato entusiasmo metteva nella posizione di “guastafeste”, abituato solo a criticare e quindi obbligato ad adeguarsi dal peggiore degli atteggiamenti passivo-aggressivi.

E io so anche che con questo pezzo potrei effettivamente attirarmi qualche antipatia… eppure sono stato entusiasta fin dal primo leak, ben più che curioso alla prima conferma del coinvolgimento di Ubisoft Milano e sono arrivato a commuovermi di cuore nel vedere la reazione di Davide Soliani nell’ascoltare il maestro Shigeru – chi dice di non aver pianto mente, sappiatelo, non c’è bisogno d’essere maestri d’empatia per cogliere l’importanza del momento.
Così come ho avuto la pelle d’oca nel riascoltare Andrea Babich e la sua “Shigeru Miyamoto” ri-eseguita nel 2017, subito dopo la conferenza: improvvisamente il testo – prima considerato nostalgico e un pelo ruffiano (tutta invidia, lo ammetto) – si era caricato delle emozioni vissute nelle ore precedenti, riadattandosi sorprendentemente al contesto. Cavolo, che momenti, colmi inevitabilmente di un’aura partecipativa, capace di coinvolgere come in poche altre situazioni viste in questo freddo e spesso distaccato mondo in cui solitamente la fanno da padrone i numeri.
Nonostante tutta questa positività mediatica rivolta alla nuova produzione faccia solo bene al progetto e al team, è facile percepire un apprezzamento non sempre genuino al 100%, condito di campanilismo e orgoglio nazionale del tutto simile a quello che proviamo quando vince la nazionale di calcio o conquistiamo una medaglia all’olimpiade. Che è bello, sia chiaro, ma è sempre un “godimento per conto di terzi”.
Tutti contenti, entusiasmo, pioggia di complimenti reciproci e scambi di like… quasi si volesse entrare a far parte di questo successo, di questo traguardo, come se fosse anche nostro. No, non lo è. È il successo di Davide, Andrea, Ugo (tre persone che sfortunatamente conosco solo di sfuggita, marginalmente) e di tutti gli altri ragazzi egualmente meritevoli che non cito solo perché effettivamente non ho mai avuto occasione di relazionarmici. Probabilmente a loro non interessano simili facezie, giustamente, avendo per la testa solo l’attuale grandissima soddisfazione e il pensiero di dover continuare a lavorare nel modo migliore per completare l’opera. E verosimilmente non avrebbero neanche bisogno di un pezzo come questo.

Parallelamente però va evidenziato come i recenti exploit vissuti da team nostrani come Antab Studio, Broken Arms Games o NAPS Team (citati per l’affetto personale che nutro nei loro confronti) abbiano fatto sorgere il lecito dubbio su come si debba realmente porre il giornalista nel parlare delle opere create nel bel paese: è così cruciale evidenziare ad ogni piè sospinto che le loro produzioni portino il vessillo tricolore? È la domanda che si è posto anche Daniele Azara di 101%, Director di Fury Roads Survivors e presenza apprezzata nella scena indie italiana. Questo eccesso di orgoglio può appartenere ad una pubblicazione generalista, che debba trovare la leva giusta per interessare il lettore non appassionato… ma la stampa specializzata?
Allo stesso modo non è forse più corretto nei confronti del ragazzi di Ubisoft Milano fare un passo indietro e provare a togliere questo filtro di “amore incondizionato italiota” per affrontare al meglio il percorso di avvicinamento del loro titolo al mercato? Credo si tratti di una forma di rispetto dovuto nei confronti del loro lavoro, delle ore spese per dare forma ad un sogno, della dedizione, del sacrificio, dei compromessi, delle sfide… di tutto il sudore e il talento che sono stati riposti in questo curioso crossover dal gameplay atipico. Non perché si debba essere più esigenti con loro – come un burbero padre asiatico dei meme -in quanto italiani, ma per essere certi che il nostro trasporto e supporto siano sinceri e, quindi, ancora più preziosi.

Perché c’è tutto il resto del mondo che non necessariamente è tenuto a portare in simpatia le produzioni della nostra penisola ed un eventuale – eccessivo – sbilanciamento delle attenzioni (o dei risultati della critica) tra le pubblicazioni nostrane e quelle estere potrebbe intaccare tutte le certezze maturate grazie a tutti i nostri abbracci – genuini o meno. Come reagire di fronte ad un eventuale media Metacritic sballata tra l’Italia e l’estero? Come affrontare l’effetto di ricaduta di feedback dissonanti? Chi ascoltare per progredire?
Sappiamo bene che siamo stati tutti i più belli del mondo… perché ce lo diceva la mamma. E ci abbiamo creduto per anni – ce lo diceva la donna della nostra vita, non poteva che essere vero! – fino a quando non abbiamo sbattuto la faccia contro il giudizio di chi non aveva alcun motivo di trattarci con i coccolosi e rassicuranti guanti della regina del focolare. Fortunatamente la bontà dell’opera sembra non essere in discussione, con Mario + Rabbids: Kingdom Battle pronto a rallegrarci e conquistarci alla sua uscita il prossimo 29 agosto, ma lo spunto di riflessione resta, per tutti quei giornalisti e giocatori che si sentono un po’ mamme e un po’ migliori amici di sempre dei ragazzi di Milano – i quali al momento hanno bisogno del nostro supporto ma anche e soprattutto della nostra onestà intellettuale: è bellissimo essere italiani, ma non paraculi.