Il mondo degli indie è bellissimo, ma dove sono le console?
Lo scorso fine settimana si è tenuto a Bologna lo Svilupparty, una due giorni annuale in cui team indie italiani di ogni provenienza geografica e sociale si incontrano per condividere esperienza e per mostrare i loro giochi al pubblico. Quest’anno ho avuto il piacere di partecipare come sviluppatore anziché come semplice curioso perché sto lavorando alla digitalizzazione di un gioco strategico a turni PvP cartaceo. Questo ha un po’ cambiato la prospettiva delle conversazioni che ho intrattenuto con i vari sviluppatori, sfruttando l’occasione per imparare tante cose, senza mettere in secondo piano il divertimento.
Lo Svilupparty è un posto ottimo per avere un quadro dettagliato del panorama videoludico italiano, cogliendo l’opportunità di poterlo fare anche dall’interno di tante realtà. L’Italia purtroppo è rimasta indietro nel settore (un segreto di pulcinella, lo so), non essendo riuscita a cavalcare nessun trend videoludico in modo prepotente, negli ultimi anni però la comunità indie si sta facendo sempre più grande ed ambiziosa. Un piccolo pregio di essere nati in Italia è quello di vivere in una culla della cultura, con ottime scuole che formano artisti e personalità creative in tutti i campi. Cinema, arte, scrittura, fumetto, musica fanno parte di un bagaglio culturale la cui crescita non conosce freni e di cui abbiamo ottimi esponenti nati in Italia ed esplosi anche oltre i nostri confini. Tuttavia ritengo che la necessità di dover unire alla cifra artistica anche conoscenze tecniche di programmazione ben mirate abbia sempre limitato l’uso del videogioco come sbocco artistico per la nostra nazione.
Negli ultimi anni però il trend ha subito un’inversione e molti progetti nostrani stanno arrivando agli onori della cronaca. Bisogna però rendersi conto che partire come sviluppatore indie non è affatto semplice e il motivo principale è sempre quello: servono soldi. Il processo di sviluppo in sé non produce introiti in grado di sostentare chi sviluppa, costretto quindi a lavorare nel tempo libero, sacrificando energia e risorse nella realizzazione di un sogno, cercando di incastonare una vita fatta di lavoro, impegni personali e vita sociale, con la propria passione. Tutti cercano la stessa cosa: un finanziamento che sia da parte di un publisher o in altre forme, per dare un’impennata allo sviluppo del proprio titolo. Non è un caso che i giochi che arrivano alla ribalta siano proprio quelli che hanno ricevuto un sostegno monetario di qualche tipo. Per ogni racconto leggendario del self made man che parte dal garage ed ha fatto la fortuna con la sola forza della determinazione e il suo carico di sogni, ci sono decine di giochi arrivati in fondo con mezzi più convenzionali, in modo meno fantasioso ma più concreto.
Il bisogno di un fondo monetario si ripercuote anche sulla scelta delle piattaforme sulle quali sviluppare. Per dirla in parole semplici: sviluppare su PC e smartphone è più semplice per via dei costi, con una barriera d’ingresso anche pari a zero alle volte. Sviluppare per desktop e per mobile, inoltre, è più semplice: chi ha studiato informatica, infatti, è molto probabile che abbia già familiarità con questi ambienti e la diffusione di molti motori di gioco free negli ultimi anni ha ridotto di molto gli scogli iniziali. Lavorare con le console richiede più scartoffie e denaro, oltre che più competenze, perché se è vero che 2500€ sono “niente” per un dev-kit rispetto al passato, sono comunque “troppo” per un team con un assetto finanziario che parte dalle proprie disponibilità economiche dei singoli componenti. Di conseguenza, partendo con l’idea di sviluppare su PC, si fa più fatica a pensare ad un gioco adatto a sfruttare le potenzialità delle console. Sotto l’etichetta “indie” oggi troviamo anche team già grossi e/o finanziati e con molta probabilità è il caso di quei pochi che sviluppano per macchine Microsoft e Sony, soprattutto se lo fanno sotto contratto di esclusiva. Eppure allo Svilupparty stesso ho visto molti titoli che avrebbero potuto trovare casa con estrema facilità su Switch per via dell’enfasi sul multiplayer locale.
Ovviamente per ogni regola c’è un’eccezione, e allo Svilupparty era rappresentata dal team di Gimme Fries. La loro postazione mi aveva attirato per la presenza dei Joy-Con usati per la demo, tuttavia non era presente un Nintendo Switch né un dev-kit e i Joy-Con erano semplicemente collegati al loro PC. Sono stati praticamente gli unici a dirmi che avevano pensato proprio a Switch come platform target per il loro gioco. Il gioco in questione si chiama Codename: Throw! (nome provvisorio), ed è di natura cooperativa/competitiva, con un concetto che richiama alla mente Castle Crashers. Fino a quattro giocatori possono prendere parte al gioco che si basa sul raccogliere e lanciare oggetti. Ovviamente intorno a questo semplice concept verranno imbastiti sfide e puzzle, il tutto con un tono molto leggero ed umoristico. Pur non possedendo ancora il dev-kit della console, la decisione stessa di sviluppare un titolo prendendo in considerazione Nintendo Switch come destinazione è notevole, e forse dettata dalla natura stessa della console ibrida di Nintendo che supporta il multiplayer di default senza bisogno di accessori extra e offre la capacità di giocarci ovunque , dove vuoi, quando vuoi e con chi vuoi, come recita lo slogan.
Progetti del genere mi fanno riflettere sulla natura delle console chiedendomi cosa abbiano da offrirci. Sembrerò radicale, ma a mio giudizio la capacità di Nintendo di immettere sul mercato un hardware distintivo ci permette di guardare alla console con occhi diversi, senza considerare le console come dei PC senza tastiera come lo sono PlayStation 4 e Xbox One. Sviluppare per piattaforma mobile è già più complesso perché cambia drasticamente il modo nel quale il fruitore interagisce con il gioco e questo permette l’ideazione di concept assolutamente originali. Con le console di Sony e Microsoft questa aria non si respira. E potranno anche essere le console più diffuse, ma continuano ad assomigliare sempre di più a un soprammobile di cristallo: è bello, lo ammiri la prima volta, lo rendi protagonista del salotto nell’immediato ma lo dai per scontato alla distanza.
Con Nintendo, bisogna reinventarsi anche come designer. Affordable Space Adventures, Brain Training, Hotel Dusk, ma anche Super Mario 64 o un Angry Birds, sono stati prodotti che esistono perché le piattaforme sulle quali sono nate offrivano qualcosa di diverso, o erano la migliore declinazione di un concetto comune. Ironicamente, in un periodo videoludico in cui le idee coraggiose vengono proprio dagli indie, l’ideale sarebbe sviluppare con in mente proprio Switch come piattaforma di destinazione, proprio come avvenuto per i ragazzi di GimmeFries, ma i passi fatti avanti da Nintendo, che non sono stati pochi a giudicare dal quantitativo di indie presenti su Wii U e dalle direct dedicate ai Nindies appunto, sono ancora insufficienti per un’equiparazione tra PC e console come modello di sviluppo. Certo, la speranza di prendere contatti con Nintendo e avere in qualche modo accesso ai dev-kit, o addirittura di poter contare su una o più figure a cui rivolgersi durante lo sviluppo, è sempre concreta, e difficilmente l’ambiente console diverrà conveniente quanto quelli PC e mobile, per tutta una serie di motivi. E allo stesso tempo moltissimo si può ancora fare, perché il seme dell’idea può far germogliare un gran bel gioco. Queste idee possono nascere in autonomia o ispirate dalle piattaforme, dalle caratteristiche distintive dell’hardware sul quale girerà il prodotto finale, per questo è importante che anche le console non prodotte da Nintendo tornino ad avere una loro dimensione esclusiva, perché se queste diventassero tutte uguali, ne perderemmo tutti noi, creativi e giocatori.