Punch Club: The Dark Fist – Recensione

La nostra recensione di Punch Club: The Dark Fist, il nuovo titolo indipendente di Lazy Bear Games per il Nintendo eShop di Nintendo 3DS!

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Genere: Gestionale/RPG
Multiplayer: no
Lingua/e: Testi a schermo in italiano

Sviluppare un gioco è un processo laborioso e difficile: bisogna tenere in considerazione milioni e milioni di variabili, ogni piccola modifica può decretare il successo o il fallimento di tutto il processo. Quando gli sviluppatori riescono ad azzeccare tutti gli ingredienti necessari per un titolo di gran spessore ci si ritrova dinnanzi a grandi capolavori; altre volte, purtroppo, qualcosa nel processo va tremendamente storto.
Può anche succedere di scegliere ingredienti di grande qualità, mescolarli bene, ma sbagliarne uno che rovina tutto il piatto: il gioco risulta quindi compromesso in ogni sua parte. Questa è la storia di Punch Club: The Dark Fist di Lazy Bear Games, un titolo che è confezionato con amore, con ingredienti di ottima qualità ma che, purtroppo, viene rovinato da un singolo fattore.

A un primo sguardo il titolo è, di fatto, un gestionale. Il giocatore deve pianificare in ogni particolare la vita di una giovane promessa del pugilato, passando dalle risse nei vicoli più malfamati della città ai combattimenti nei ring più blasonati del circuito. Va da sé che la vita di un boxeur è tutta basata su allenamenti e duro lavoro, ed è proprio qui che interviene il giocatore.

Ogni giorno bisogna decidere cosa far fare al nostro personaggio: lavorare e guadagnare soldi per mangiare e pagare i biglietti dei mezzi pubblici, allenarsi a casa o andare in palestra? Ogni scelta condiziona pesantemente le condizioni psicofisiche del nostro alter ego digitale e le sue statistiche. Allenarsi in casa farà salire tutte le statistiche, decidere di lavorare presso il cantiere cittadino potenzierà la statistica legata alla forza, consegnare pizze quelle legate alla velocità e così via.

Ovviamente è importante badare al tipo di statistica che si decide di potenziare, ma anche valutare le risorse monetarie del nostro personaggio e alle provviste stipate nel frigo. Allenarsi 24 ore su 24 costa un mucchio di energie al protagonista che avrà dunque bisogno di mangiare moltissimo e, quindi, di guadagnare una marea di soldi. Ma guadagnare soldi sottrae tempo alla cura della forma fisica, che cala ora dopo ora. Un circolo vizioso abbastanza stressante, tedioso, ripetitivo che occupa troppo tempo che invece potrebbe, e dovrebbe, essere dedicato ai combattimenti: in fondo stiamo giocando a Punch Club non a The Sims, no?

La cittadina che farà da sfondo alle nostre avventure
La ridente cittadina che farà da sfondo alle nostre avventure

Incrementare le statistiche serve fondamentalmente a sbloccare, livello dopo livello, nuove abilità da esibire in combattimento: è quindi una buona idea tenere d’occhio l’articolato skill tree per dare vita a un personaggio che rispecchi le nostre esigenze combattive. La natura gestionale del titolo è dunque fondamentale, perché funge da linfa vitale per l’altro filone fondamentale del progetto di Lazy Bear Games: il pugilato.

L’obiettivo principe del gioco non è solo quello di “sopravvivere” nella giungla di cemento 16-bit in cui ci si ritrova immersi, ma è soprattutto legato al successo nel mondo del pugilato. Il giocatore deve iscriversi e affrontare numerose sfide di boxing nella palestra cittadina, con il successo e la sconfitta che sono legati alle statistiche che vengono curate nella vita di tutti i giorni. Scegliere di lavorare costantemente al cantiere della città forgerà sì un personaggio votato alla forza bruta, che però avrà enormi probabilità di soccombere contro degli avversari agili e veloci.

Fin qui, tutto bene: la parte gestionale è articolata, profonda, a tratti ripetitiva e tediosa, ma tutto sommato è nella natura del genere. Il problema fondamentale, e imperdonabile a mio modo di vedere, sta tutto nei combattimenti: non si può chiamare un gioco “Punch Club” e poi affidarne i combattimenti all’IA. Non è giusto, è stupido, è limitante. La prima volta che ho provato il titolo ho cercato di premere tasti ed eseguire azioni con il touch screen durante un combattimento, scoprendo con estremo disappunto che era tutto inutile. Il giocatore, che è figura centrale in tutta la fase gestionale del titolo, non ha nessun potere di influenzare l’andamento dei combattimenti. Tutte le energie spese nel bilanciamento delle attività giornaliere sono di fatto sprecate: ci pensa il gioco ad attivare il pilota automatico, soccombendo allegramente anche contro un avversario meno potente di noi.

L'importantissimo skill tree che condizionerà ogni nostra mossa durante gli incontri
L’importantissimo skill tree che condizionerà ogni nostra mossa durante gli incontri

Le due anime del gioco si sposano in un setting davvero interessante: il titolo richiama il romanzo di Chuck Palahniuk, e la città in cui è ambientato il gioco è davvero un tripudio di riferimenti agli anni ’90: c’è Apu, sì quello dei Simpson, l’allenatore di Rocky, Mickey dal film The Snatch, Tyler Durden del film di Fight Club e tanti altri. E ancora, ci sono riferimenti ad alcuni brani dei Daft Punk, a personaggi dei film di Tarantino e alle Tartarughe Ninja. Insomma, che la software house abbia messo un sacco di amore nel gioco è evidente.

Per quanto riguarda il suo adattamento su Nintendo 3DS ci si ritrova dinnanzi a un porting senza infamia né lode, funziona tutto come dovrebbe, anche se gli schermi a bassa risoluzione della macchina portatile di Nintendo non rendono giustizia al comparto grafico del gioco. I controlli in generale sono legnosi, poco fluidi e mal si adattano all’interfaccia touch screen della console Nintendo: si vede che il titolo deriva dal mondo PC e infatti spesso per selezionare alcuni oggetti ci vuole una precisione eccessiva. Come è certo che la struttura ripetitiva del gameplay rende Punch Club adattissimo a partite mordi e fuggi sul treno o prima di andare a letto, è altrettanto probabile che lunghe sessioni di gioco vi faranno passare la poesia in men che non si dica.

Tutto questo mi fa sorgere spontanea una domanda a cui non ho risposta: perché sprecare un apparato gestionale ben costruito, una grafica sfiziosa, un setting e una trama interessante in una commistione di generi così mal assortita? Sarebbe stato decisamente più interessante affidare tutta la gestione dei combattimenti alle mani del giocatore, così da premiare gli sforzi profusi nella gestione della vita del protagonista.

Punch Club non è un gioco brutto, è un titolo sicuramente adatto agli amanti dei gestionali, pieno di piccoli dettagli sfiziosi, di citazioni e di nostalgici rimandi al passato, ma poco adatto a chi ama l’azione e preferisce menare le mani, e non guardare l’intelligenza artificiale farlo. Se vi piace pianificare ogni aspetto della vostra vita, tenere sotto controllo ogni singola sfaccettatura della vostra esistenza, non esitate ad aggiungere un punto pieno alla valutazione finale del gioco, per tutti gli altri, la sufficienza è davvero difficile da giustificare.

Ho giocato per un paio di ore alla versione definitiva del gioco, giusto il tempo di approfondirne tutti gli aspetti. Il codice di gioco ci è stato gentilmente fornito dalla software house.
Pro: Un titolo fatto con amore, curato sotto molti punti di vista e pieno zeppo di citazioni memorabili degli anni ottanta e novanta
Contro: Un singolo elemento porta tutta l’opera a picco e la rende molto meno memorabile di quanto potrebbe essere. Sufficienza mancata di poco
5.9

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