Per chi stia leggendo questa rubrica per la prima volta, lasciate che vi prepari il setting: Space Invaders ha segnato un cambio di rotta epocale e si è imposto come punto di riferimento per tutti i game designer dell’epoca, tra i quali Toru Iwatani, creatore del best-seller Pac-Man.
E Nintendo? Nintendo era un nome minore. Certo, la società da produttore di giocattoli meccanici, si stava trasformando in un produttore di giochi elettronici, e le prime soddisfazioni non tardarono certo ad arrivare, con i buoni numeri di Wild Gunman e Duck Hunt. Tuttavia erano successi commerciali più buoni che eclatanti, insufficienti a proiettare Nintendo nell’olimpo dei più grandi produttori arcade quali Midway, Atari o Taito. Il limite era innanzitutto strutturale: la posizione di mercato di Nintendo non permetteva ai propri giochi di raggiungere la stessa distribuzione, lo stesso bacino d’utenza, insomma lo stesso successo, commerciale e di gradimento, dei giochi dei colossi sopracitati.
Il provvedimento campale per rimediare a questa situazione era portare direttamente i giochi a proprio nome in America anziché vendere a terzi (tanto per dirne uno, i cabinati occidentali di Sheriff riportavano solo SEGA come produttore, ed è uno dei primi giochi di Shigeru Miyamoto). Bisognava quindi aprire una filiale in loco: Nintendo of America, presidente Minoru Arakawa, genero di Hiroshi Yamauchi, il presidente più risoluto che Nintendo abbia mai avuto. Il giovane presidente pensò di penetrare sul mercato sfruttando la scia del successo degli space game. A Nintendo serviva quindi il suo Space Invaders e Minoru Arakawa pensava di averlo, il suo nome era Radar Scope. Questo gioco aveva tante frecce al suo arco: era stato un buon successo in Giappone, aveva una prospettiva originale per l’epoca e uno score system che spingeva il giocatore a correre determinati rischi per raggiungere un punteggio migliore.
Il presidente di Nintendo of America inoltrò quindi un ordine di tremila cabinati a Nintendo of Japan, incoraggiato dal riscontro dai beta tester americani preliminari. Il gioco però, arrivato in ritardo e proposto a una cifra troppo elevata ai gestori di sale arcade, faticò a trovare mercato e con solo un terzo dei cabinati piazzati fu un vero e proprio flop. Inoltre i giochi spaziali iniziavano a perdere mordente in un pubblico affascinato da Pac-Man, se non travolto dalla Pac-Mania. Minoru Arakawa allora chiese al suocero di spedirgli un nuovo gioco che potesse sostituire Radar Scope. Il problema era soprattutto relativo ai costi di immagazzinamento dei cabinati invenduti, che pesavano pesantemente nell’economia di una filiale appena nata e già economicamente in bilico.
Hiroshi Yamauchi probabilmente non credeva più nel mercato dei giochi da sala. I suoi investimenti si dirigevano verso i Game&Watch, piccoli giochi elettronici tascabili diventati in fretta una vera e propria mania (e che garantivano utili nell’immediato), e sulla progettazione del Famicom, che avrebbe reso Nintendo una delle più grandi aziende del Giappone. Nintendo aveva più interesse a far rimanere a casa i giocatori o a intrattenerli durante i viaggi (una filosofia continuata negli anni e cristallizzata con Nintendo Switch) tuttavia il problema in America andava risolto. Gunpei Yokoi era però oberato di lavoro, e con i Game&Watch che trainavano i profitti dell’azienda, quella richiesta era un fardello, impossibile da ignorare e da cui scrollarsi al più presto. Shigeru Miyamoto, vincitore del concorso interno all’azienda, sotto la supervisione di Yokoi, era un vulcano di idee, sebbene la sua formazione fosse il disegno e non la programmazione.
Quando Nintendo consegna il documento di design ai programmatori di Ikegami Tsushinki, società di programmazione incaricata di tradurre in realtà le fantasie di Shigeru, questi lo prendono per pazzo. Innanzitutto era impossibile realizzare un gioco a scrolling verticale, come richiesto da Miyamoto, per il semplice fatto che avrebbero dovuto riutilizzare l’hardware di Radar Scope, e sarebbe stato impossibile aggirarne i limiti tecnici. Allora Shigeru Miyamoto pensò a quattro schemi diversi, senza scrolling, che andavano a concatenarsi una volta che il giocatore fosse arrivato in cima. Anche questa richiesta viene accolta con sconcerto, ma il giovane Miya la spunta. Se tutto fosse andato come previsto probabilmente non avremmo mai fatto la conoscenza di Donkey Kong. Infatti il piano iniziale era di utilizzare come protagonisti del triangolo amoroso Braccio di Ferro, Bluto e Olivia, e il gioco si sarebbe chiamato Braccio di Ferro e l’attacco dei barili di birra. Tuttavia King Features, detentrice dei diritti dei personaggi di Elzie Crisler Segar, che fino ad allora aveva permesso a Nintendo l’utilizzo della licenza per le carte da gioco, il Game & Watch e perfino un gioco arcade di buon successo, stavolta non ne concesse l’utilizzo. Ma in fin dei conti questa fu una gran fortuna per Nintendo che entrerà nel mondo del licensing e acquisendo la consapevolezza che creare nuove IP fortificano l’azienda stessa.
Donkey Kong è un climbing game in cui il giocatore deve raggiungere la sommità della sbilenca struttura che compone il palazzo di cento metri da scalare e salvare la sua fidanzata Pauline, rapita dal gorilla. I quattro livelli rappresentano venticinque metri di piano e Mario (allora Jumpman) dovrà farsi strada evitando o martellando i barili lanciati dal primate. Il secondo livello contiene dei nastri trasportatori, il terzo degli ascensori. Nel quarto infine, bisognerà far crollare la struttura che regge Donkey Kong rimuovendo gli otto bulloni.
Nella versione da casa però uno dei livelli è stato rimosso, a causa della poca capienza delle cartucce famicom, almeno agli inizi. In seguito infatti Nintendo creò una versione NES che ripristinava il livello mancante, oltre all’animazione iniziale ed alcune di intermezzo. Tuttavia avremmo dovuto aspettare la virtual console del Wii per vederlo alla luce. Stranamente la versione contenuta nel Mini-NES non è la versione aggiornata. Oltre a un livello, la versione NES è deficitaria anche di un colore, limitandosi a tre contro i quattro colori dell’arcade. Anche in questo caso ci troviamo davanti a una conversione ottima tutto sommato, assolutamente migliore di quelle per Atari 2600, Colecovision e altre, e realizzata in un periodo in cui giocare a casa giochi da sala era già di per sé un miracolo. Licenza di giochi Nintendo per lo sviluppo di conversioni su altre console? Avere la versione migliore non era abbastanza, il fatto che Donkey Kong esistesse in altri formati era un’arma in meno da sfoderare nella line-up del famicom, Nintendo imparò molto presto l’importanza delle esclusive.
Donkey Kong oggi probabilmente ha perso parte del suo fascino, in quanto proviene da un’epoca in cui i giochi non avevano bisogno di una trama e di un finale e il miglioramento del punteggio era il motivo fondante di ogni partita. Con un gameplay che ha resistito alla prova del tempo grazie alla sua essenzialità è lecito chiedersi quale sia la longevità di un classico che ha fatto la fortuna di Nintendo durante la Golden Age degli sviluppatori, ma poco sorprendentemente la risposta è insita e probabilmente diversa da giocatore a giocatore.

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