[Zelda 30°] Majora’s Mask: una capsula del tempo per l’industria moderna

The Legend of Zelda: Majora's Mask capsula del tempo

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Qualche volta mi è stato chiesto perché avessi scelto come nickname SkullKid, perché un personaggio vero e proprio, dunque per forza di cose possibilmente utilizzato da altri, non per forza riferibile a me. La risposta è sempre stata la stessa, perché SkullKid non è solo un personaggio, siamo tanti che possono unire la voce per ricordare che cos’è The Legend of Zelda: Majora’s Mask. The Legend of Zelda: Majora’s Mask è una vera e propria capsula del tempo per l’industria moderna.

Comprendendo i limiti tecnici di Nintendo 64 prefiggeva l’obbiettivo di portare un mondo vivo, vitale e interconnesso sulla nostra console, massimizzando l’espansione dell’ambiente di gioco tenendo conto di questo risultato finale.

Il gioco è stracolmo di personalità che rendono Link un cittadino di Termina, che vive Termina, ne conosce le storie, le manipola, le cambia con delle scelte non dialogiche bensì pratiche, che opera fisicamente il giocatore.

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Intrecciando momenti e storie di vita, il gioco dipana la sua trama attraverso delle over-quest, che cannibalizzano un pretesto d’avventura che è un filo diritto sulla linea del tempo, ma Link percorre nastri multicolore annodando i personaggi in uno spazio-tempo arzigogolato e deformato. La trama è come il pane per Pollicino: il modo di ritrovare la strada di casa.

L’insegnamento per l’industria moderna è quello di osare conoscendo i limiti della macchina, riempire la bottiglia della computazione fino all’orlo ma senza farla straripare, dare al giocatore l’esperienza della progressione attraverso una personale interpretazione degli eventi data dal tipo di avventura che scegliamo ogni volta, da quali persone riteniamo maggiormente valevoli d’attenzione nel nostro percorso di tre giorni.

The Legend of Zelda: Majora’s Mask riesce nell’impressionante impresa di rendere irrilevante il riutilizzo di assets per contenere tempi e costi di sviluppo perché ciò che conta è il feeling del gioco, la sua atmosfera, la sua unicità nonostante il visivo adottato.

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Come, COME È POSSIBILE?!

Il lascito di un simile gioco si incastona nel tempo stesso che manipola, come fosse al di fuori dal tempo, irrinunciabilmente significativo del tempo in cui è uscito e dell’industria che sopravvive oggi, portando con sé meccanismi e filosofia che sviscerano il concetto di interattività non portando per mano il giocatore in una linearità inconsistente.

Al contrario il gioco riesce a spronare il giocatore nella ricerca di risposte con i mezzi a disposizione, facendogli comprendere il linguaggio che esprime nonostante il suo essere non lineare temporalmente e con una progressione basilare a contenere una narrazione altrimenti difficilmente gestibile.

Interrato per anni, mormorato da chi lo giocò e ebbe la costanza di completarlo, Nintendo lo ha dissotterrato scrollandogli la polverosa apparenza accumulata negli anni, per riconsegnarlo a un’industria che spesso dimentica l’audacia di cui potrebbe essere capace in termini di possibilità, interazione e fascinazione del pubblico che non sempre è alla ricerca del reale, bensì di un’esperienza trascendentale che lo metta al centro di un mondo cucitogli addosso e su cui può significativamente, ma anche marginalmente, intervenire per modificarlo e trarne genuino intrattenimento cambiando la propria percezione della realtà, che ben conosce quotidianamente.

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Sleep tight

Lo straniamento di The Legend of Zelda: Majora’s Mask che sia di insegnamento, la crisi della presenza che esprime in quanto passante non obbligato a intervenire, ma compulsivamente costretto al bene comune, rende il gioco una stella del firmamento videoludico.

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