Ogni epoca videoludica, o generazione se preferite, ha un suo aspetto distintivo e preminente che la caratterizza, una vera e propria etichetta che marchia e categorizza indelebilmente le console appartenenti a tale epoca: giusto per fare un paio di esempi, la quinta generazione viene ricordata per l’avvento delle prime grafiche tridimensionali, mentre la settima è stata indiscutibilmente l’era della grafica in alta definizione (e del motion control se vogliamo). Se provate a fare questo giochino anche per le altre epoche videoludiche, troverete certamente almeno un tratto, anche più di uno, che vi apparirà primario rispetto ad altri. Si tratta ovviamente di categorizzazioni che, in quanto tali, generalizzano e banalizzano fenomeni complessi e sfaccettati: ogni console ha avuto le sue peculiarità e ogni genere, dal platform all’action, nel tempo si è evoluto e ha passato diverse fasi con caratteristiche peculiari.
Teniamo comunque buone queste etichette e passiamo alla stretta attualità, all’ottava generazione di console: volendo tentare la stessa operazione scopriamo di essere un pochettino più in difficoltà. Un po’ per la partenza a rilento delle nuove console, un po’ per le difficoltà di Nintendo, un po’ perché le dinamiche sono ancora in via di definizione, si fa fatica a unire Wii U, PS4 e XboxOne sotto un unico concetto.
Se vogliamo comunque provare, incuranti delle difficoltà, a ben vedere c’è un concetto che viene quasi naturale associare a questa ultima generazione di hardware, si tratta di una semplice parolina che avete sentito molte volte: remastered. Mai in passato le software house avevano fatto ricorso alla pratica di riproporre giochi di anni passati in maniera così massiccia, finanche Nintendo ha ceduto, seppur con modalità contenute. Spesso criticate, vituperate e mal accolte, le nuove edizioni di vecchi capolavori del passato fanno poi invece centro per quanto riguarda i volumi di vendita, andando così ad alimentare il meccanismo che le rende convenienti alle software house e, a quanto pare, pure ai giocatori. Ci troviamo così con gli scaffali di negozi virtuali e non invasi da riedizioni di giochi pubblicati tanto tempo fa e che effettivamente possono beneficiare del restyling, ma anche remastered in HD di giochi già in HD nativo, remastered di remastered e remastered che sembrano una copia quasi esatta dell’originale con solo una manciata di pixel in più.
Remastered sì o remastered no quindi? Volendo sezionare a fondo la questione, possiamo individuare buone ragioni sia dal lato di chi accoglie con favore questo tipo di operazioni, sia da parte di coloro che vengono colti da attacchi di orticaria ogni qual volta sentono la sola parola. Vediamole.
REMASTERED SÌ
Sono un’ottima opportunità per poter giocare vecchi capolavori
Questo è, in effetti, un ottimo punto a favore delle argomentazioni pro remastered. Nel corso degli anni si sono succedute un sacco di console e un numero sesquipedale di giochi: è praticamente impossibile aver giocato a tutto. A parte uno sparuto numero di collezionisti con disponibilità di tempo, denaro e spazio sufficienti, tutti abbiamo dovuto fare i conti con le limitazioni di uno dei tre fattori appena elencati e ciò ci ha portato a dover effettuare scelte e, di conseguenza, rinunce. C’è da considerare poi il fattore età: non tutti sono dei vecchi come il sottoscritto e Pittanza e quindi giochi particolarmente datati sarebbero stati impossibili da giocare per molti all’epoca della loro pubblicazione. La possibilità di poterne godere oggi con una veste grafica rinnovata e (magari) qualche nuova aggiunta ad hoc, non può che essere ben accetta: non solo da chi a quel titolo non ha mai giocato, ma anche da parte di chi ha amato un particolare software e avrebbe piacere di giocarci di nuovo ma che, non volendo o non potendo cimentarsi con la versione originale, trova nella remastered un modo relativamente economico per soddisfare la sua nostalgia.
Possono colmare eventuali buchi nella line up di una console
Anche qui è difficile trovare argomentazioni che riescano a inficiare la validità dell’affermazione, e i proprietari di un Wii U lo sanno fin troppo bene. Certo, la line up di una console non può essere infarcita solo di riedizioni di vecchi titoli, ma come si suol dire “piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto” e operazioni come quella di Wind Waker HD ne rappresentano un ottimo esempio. Sono in particolare le fasi iniziali del ciclo vitale di una console a essere particolarmente soggette a problemi quali scarsità di uscite o una loro disomogenea distribuzione: alzi la mano chi, nei primi mesi di vita del Wii U, non avrebbe gradito un paio di remastered per rendere meno amara l’attesa tra un titolo e l’altro? Se il titolo è scelto con cura, ben realizzato e piazzato strategicamente in un periodo di magra può rappresentare un’ancora di salvezza per i videogiocatori affamati di software, concedendo tempo alle software house per lavorare su nuovi titoli.
Non sottraggono eccessive risorse alle software house, in quanto relativamente semplici da realizzare
Che sia più semplice lavorare su un prodotto già esistente piuttosto che doverne creare uno ex novo è cosa abbastanza ovvia. Molto dipende ovviamente dal tipo di rimaneggiamento che si intende fare, da quanto tempo prima è uscito il titolo, da quanto è complesso il gioco e così via. Trattandosi per lo più di un lavoro, per così dire, di restauro, questo tipo di operazione ha il vantaggio di poter essere affidata a team relativamente piccoli o inesperti, con conseguenti benefici dal lato dei costi: ciò si riflette poi sul prezzo finale del prodotto, in genere notevolmente inferiore al prezzo di un software nuovo. Se guardiamo in casa Nintendo e ai team cui sono state affidate operazioni di questi tipo, vedi Grezzo e Tantalus, si tratta di una buona opportunità di far fare le ossa su progetti più semplici a team che potrebbero in futuro mettersi al lavoro su titoli più impegnativi dal punto di vista creativo e tecnico.
REMASTERED NO
Sono un semplice escamotage da “minima spesa, massima resa” delle software house
Chiariamo subito una cosa: le software house non sono ONLUS e il loro obiettivo finale è uno solo, ovvero ottenere il più alto margine di profitto possibile. Detto questo, come si può dar loro torto quando ci propongono una riedizione di un gioco, noi la compriamo, e a loro arrivano dei bei soldoni fruscianti? Consideriamo però anche il nostro punto di vista, quello di chi il mercato la fa girare, ovvero dei videogiocatori: il nostro fine ultimo è quello di divertirci, di godere esperienze esaltanti, commuoventi, epiche, soprattutto che siano sempre nuove e diverse. Vedere riproporre ad ogni piè sospinto giochi già pubblicati, magari anche piuttosto datati, dal gameplay e dalle meccaniche non più attuali non è esattamente il massimo, soprattutto se a quei titoli si è già giocato all’epoca. Consideriamo che per ogni giocatore che non ha avuto modo di provare un certo titolo, ce n’è sicuramente un altro che invece lo ha già giocato ai tempi che furono. Oltretutto può anche sorgere il legittimo dubbio su come questo meccanismo renda le software house più pigre, più inclini a pescare a piene mani dal proprio glorioso passato piuttosto che provare a costruire un futuro altrettanto radioso con nuovi giochi e IP.
Sottraggono tempo e risorse ai nuovi titoli
Se da un lato è vero, come accennato sopra, che una remastered richiede poche risorse per essere realizzata, dall’altro si tratta comunque di risorse umane e tecniche che potrebbero essere impiegate per altro: supportare i team maggiori per la realizzazione di titoli importanti, accelerandone di conseguenza il completamento; dedicarsi alla realizzazione di contenuti aggiuntivi o miglioramenti per titoli già pubblicati; lavorare su progetti nuovi, magari anche piccoli, che potrebbero svilupparsi in nuove IP. Tutto dipende da come una software house intende utilizzare il proprio personale ma, ricollegandoci al primo punto, è evidente come, in termini strettamente monetari, sia più conveniente realizzare due titoli (remastered + titolo nuovo) pur in tempi più lunghi che pubblicare un solo gioco in un arco di tempo di poco più breve. Dal punto di vista degli utenti può essere invece un ragionamento discutibile.
Rendono i giocatori più pigri e meno ricettivi alle novità, rendendo difficoltosa l’evoluzione del mercato
Se prima abbiamo parlato del pericolo che troppe remastered possano portare le software house a dormire sugli allori, un discorso analogo può essere fatto riguardo all’utenza e, di conseguenza al mercato. La continua e insistita riproposizione di vecchi titoli, con meccaniche e personaggi per forza di cose già visti, andrà a creare nei videogiocatori un’abitudine e un’aspettativa che vanno a puntare sul sicuro, sul già visto. Ciò non implica necessariamente che non valga la pena provare titoli provenienti da un passato più o meno remoto, benché molti di essi perdano buona parte della loro forza una volta estrapolati dal loro contesto. Si tratta però di un fenomeno che va ad alimentare quel meccanismo che già i tanti sequel di saghe più o meno famose stanno creando: la refrattarietà dei videogiocatori alle novità, che spesso vengono snobbate in favore di qualcosa che già si conosce. Il mercato finisce così per ristagnare su se stesso, non cambia, non evolve, anzi, indirizza l’utenza verso scelte quasi obbligate fatte di riproposizioni, non sempre ben realizzate peraltro, che fanno leva sulla nostalgia e che offrono in realtà molto meno di quanto potrebbe un prodotto fresco e originale.
Entrambi i punti di vista offrono argomentazioni valide e, come spesso accade, è probabile che la verità stia nel mezzo. Molto ovviamente dipende dal criterio con cui le software house utilizzano quella che può essere sia un’importante risorsa, sia una pericolosa arma a doppio taglio.
E voi da che parte state? Remastered sì o remastered no?