La fine di Iwata? – Atto 1: condanna

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Ellò evriuan, aim Satoru Iwata, from Nintendo!” Quante volte abbiamo sentito questa frase, pronunciata con una delle pronunce inglesi più maccheroniche che esistano? Parecchie, fin da quando Nintendo ha inaugurato la formula dei Direct, un nuovo modo di tenere i fan informati sulle novità in arrivo dalla fabbrica dei sogni di Kyoto. Eppure ben presto tutto questo potrebbe appartenere solo al passato: il 31 marzo infatti si conclude il fiscal year 15 e sarà tempo di tirare le somme in casa Nintendo.

Che la posizione di Iwata non sia saldissima, complice la serie di deludenti risultati finanziari degli ultimi anni, non è un mistero: l’indice di approvazione del Presidente Nintendo da parte dell’assemblea degli azionisti ha registrato, l’anno scorso, un poco lusinghiero 80.64% di voti favorevoli, uno dei rate approval più bassi in assoluto tra i CEO delle aziende videoludiche giapponesi (e il confronto con gli anni precedenti è impietoso, nel 2010 era del 96,74%). Viene difficile pensare che gli azionisti possano ritenersi soddisfatti di quanto fatto nel corso del 2014 e in questo primo scorcio del 2015: nonostante il lancio del New 3DS e il successo degli amiibo i conti di Nintendo faticano a quadrare e, sebbene la chiusura dell’anno fiscale dovrebbe segnare un ritorno all’utile, le cifre sono ben lontane dall’essere soddisfacenti.

Non sarà per caso ora che Iwata si faccia da parte e lasci campo a qualcun altro che, con un giusto mix di intraprendenza e di apertura mentale, possa dare una sterzata decisa alle politiche di Nintendo? La risposta è, ovviamente, .

Ma come, direte? Il nostro Presidentissimo, Satoru il mattacchione? Sì, proprio lui. Intendiamoci: pure a me sta simpatico e i suoi siparietti sono sempre molto divertenti ma, ahimè, la simpatia non è tra le doti richieste per essere un valido CEO.

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Che sia un gran simpaticone nessuno lo mette in dubbio!

L’analisi però, per essere equilibrata, deve anche riconoscere a Iwata un paio di meriti. Il primo è quello di aver sempre cercato di rimanere fedele allo spirito e alla filosofia dell’azienda: ad esempio non svendendosi alle mere logiche di mercato e mantenendo standard qualitativi impeccabili. D’altro canto non si può non ammettere come Iwata abbia preso le redini di Nintendo in un momento di difficoltà (il Gamecube che non è mai decollato, il Gameboy che era a fine ciclo vitale) e sia riuscito a riportarla, almeno parzialmente, sulla cresta dell’onda, assicurando anni di solidità finanziaria all’azienda. Certo, i più maligni potrebbero obiettare che il Wii è stato un colpo di fortuna clamoroso (considerato poi il sostanziale fallimento del motion control applicato ai videogiochi – cosa che Kinect e Move hanno certificato ufficialmente) e che l’idea del DS serpeggiava già nei meandri del reparto di R&S di Nintendo prima dell’avvento di Iwata, ma lasciamo stare supposizioni e dicerie.

Il primo periodo di presidenza Iwata è stato dunque segnato da una serie importante di successi, tanto che nemmeno il più inguaribile dei pessimisti poteva pensare che le cose avrebbero preso presto una piega molto diversa. Ad un certo punto, infatti, è calato il buio e non saprei descrivere meglio ciò che è successo ai piani alti di Nintendo. Un blackout, un inspiegabile reboot del sistema, uno stato confusionale dal quale ancora ora l’azienda di Kyoto fatica a riprendersi, chiamatelo come volete: la realtà dei fatti è che sono anni che il buon Satoru ne imbrocca una e ne sbaglia dieci.

La genesi di tutto, l’errore più grave commesso da Iwata, è stato uno ed è quello da cui hanno poi avuto origine tutta una serie di conseguenze che ancora oggi Nintendo sta pagando: non ha saputo gestire il successo del Wii, venendone letteralmente travolto.

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Ecco l’attività principale di Iwata e Miyamoto ai tempi del Wii: contare i soldi!

Diciamolo pure: il Wii è stato il classico jolly pescato dal mazzo. Sull’impatto che il “Project Revolution” ha avuto sul mondo del gaming sono stati spesi fiumi di inchiostro digitale e non, per cui non mi voglio dilungare troppo sull’argomento: fatto sta che le pantagrueliche vendite della quinta home console di Nintendo hanno, a conti fatti, scombinato completamente i piani e sparigliato le carte in tavola. Le cose sarebbero dovute andare molto diversamente (e qui ne trovate una dettagliata analisi), ma delle dinamiche e degli accadimenti che hanno portato a questa situazione poco ci importa. In quanto utenza, noi siamo interessati al risultato finale e lo stato delle cose è che il Wii è arrivato a fine ciclo vitale col fiatone, con zero supporto (o quasi) e, nonostante ciò, il Wii U è stato immesso sul mercato in fretta e furia, con un OS largamente incompleto e senza un piano di uscite di giochi per il medio–lungo periodo (i primi otto mesi dopo il lancio ce li ricordiamo tutti). A quel punto la situazione era già abbondantemente compromessa e ha preso così il via la stagione dei “please understand”, delle scuse più o meno credibili (“non pensavamo che sviluppare in HD fosse così complicato”), e di una serie di situazioni più o meno imbarazzanti (il pelo di DK è in HD!!!!) che hanno segnato un periodo molto complicato per Nintendo. Da quel momento in poi infatti gli scivoloni di Iwata (citando lui intendo ovviamente tutto il board Nintendo ma, avendo il CEO in mano il timone della nave, gli onori e oneri del comando sono tutti suoi) si sono susseguiti a cadenza impressionante: pescando nel corso degli ultimi anni c’è solo l’imbarazzo della scelta. Cito a caso.

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Il tormentone dell’epoca Wii U non può che essere uno solo…

L’infrastruttura online di Wii U e 3DS, ad esempio, è stata mal progettata, gestita altrettanto male e implementata peggio, per non parlare dell’assurda scelta di legare l’account utente alla console. Chi ha dovuto imbarcarsi nel trasferimento dati da 3DS a New 3DS sa di cosa parlo: un sistema complicato, farraginoso e totalmente inaccettabile (siamo nel 2015!).

Vogliamo poi parlare del piano di marketing a supporto del Wii U, che dovrebbe essere citato nei manuali come esempio su come NON si pianifica il lancio di un nuovo prodotto? In accoppiata con l’imbarazzante presentazione all’E3 2011, ci ha fatto più volte domandare quale misteriosa entità aliena avesse preso possesso del reparto marketing di Nintendo.

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Un’intensa sessione di lavoro al reparto marketing di Nintendo…

Avanti con la carrellata: la pianificazione delle uscite dei giochi spesso pare fatta senza criterio e l’uscita del New 3DS (anche in limited edition), Majora’s Mask 3D (e relativa limited edition) e Monster Hunter 4 (con, ovviamente, relativa limited edition) tutto nello stesso giorno ne sono un esempio recente. D’altra parte su Wii U il problema non sussiste a causa dei buchi clamorosi, lunghi anche mesi, nelle uscite.

Ancora: sebbene l’impatto delle terze parti su console Nintendo sia stato, negli ultimi anni, poco sostanzioso, è inutile fare proclami di voler rinsaldare i rapporti con esse se poi si progetta una console dall’architettura fortemente customizzata, ritenendo prioritari dettagli totalmente insignificanti come dimensioni e consumi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Altro errore grave: aver per le mani un team occidentale (l’unico peraltro di un certo peso nell’orbita Nintendo) talentuoso come i Retro e castrarne le potenzialità affidando loro un platform 2D, genere in cui Nintendo stessa è maestra indiscussa, ha avuto come risultato di privare la line up del Wii U di potenziali titoli di richiamo, nonché di “bruciare” un capolavoro come Tropical Freeze, arrivato in un pessimo momento e snobbato da una grossa fetta di utenza.

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Rendere inviso all’utenza un capolavoro come Tropical Freeze non era facile, eppure ce l’hanno fatta. Complimenti!

Per passare a tempi più recenti poi, non posso non citare la disastrosa gestione della distribuzione degli amiibo: in un mercato che già gli Skylanders e Disney Infinity avevano dimostrato essere molto ricettivo, solo Iwata poteva essere dubbioso sul loro successo. Risultato? Quantità distribuite assolutamente insufficienti per soddisfare la domanda, tempi di reazione geologici per quanto riguarda i restock e l’ennesima dimostrazione di una sempre più palese inadeguatezza nel saper leggere le dinamiche del mercato videoludico attuale.

Lo schiaffo ricevuto da Game Freak, che farà uscire il suo nuovo gioco ovunque tranne che su Wii U, è solo l’ennesimo colpo alla credibilità di un Presidente che, e qui passiamo alla stretta attualità, dopo numerose e categoriche esclusioni sulla possibilità che Nintendo potesse entrare nel mondo del gaming mobile, annuncia un accordo con il colosso delle telecomunicazioni DeNA. Era una mossa inevitabile, arrivata con un ritardo abissale a causa dell’assurda intransigenza di Iwata sull’argomento e, più che un ripensamento dell’attuale presidente Nintendo, vedo tale partnership come una concessione che Iwata ha dovuto fare, obtorto collo, alle fortissime pressioni provenienti dall’interno dell’azienda (forse anche in un disperato tentativo per evitare di essere silurato).

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Un buon capo sa quando è arrivato il momento di farsi da parte: arrivederci Iwata-san!

Benché la lista potrebbe continuare ancora molto a lungo, qui mi fermo perché credo di aver reso chiaro il concetto. La vita delle aziende, così come quella delle persone, è fatta di cicli, che si aprono, si sviluppano e, infine, si chiudono. Così come Hiroshi Yamauchi aveva fatto il suo tempo ed era giusto che cedesse il passo ad altri, ora è arrivato il momento per Iwata di farsi da parte per il bene dell’azienda. Senza voler filosofeggiare sui massimi sistemi, è evidente di come il cambiamento comporti dei rischi, ma di come esso sia anche una parte fondamentale delle cose. Nintendo non fa eccezione. L’ambiente cambia, il mercato cambia, i gusti e le tendenze cambiano e anche la nostra amata Nintendo deve avere la lungimiranza e il coraggio di saper cambiare, non per seguire effimere mode, ma per rimanere uguale e fedele a sé stessa.

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