Quasi cinque anni. Videoludicamente parlando trattasi di un’eternità, un lasso di tempo che solitamente definisce un’intera generazione: cambiano le console, si rinnovano le meccaniche, nascono nuovi franchise e muta persino l’approccio dei giocatori ad alcuni generi.
Nel 2010 Bayonetta consacrò, nella sua disarmante esplosività, l’apoteosi del gaming Made in Japan, strappando raffiche di perfect score (o comunque voti altissimi) da innumerevoli testate. Difficilmente si era visto un titolo, così tradizionalmente nipponico nella struttura, riscuotere un tale successo in un settore in preda a forti scossoni, ancora fresco degli sconvolgimenti portati da serie innovative come Assassin’s Creed che promettevano una nuova direzione per l’industria, incentrata sulla vastità dei mondi e la libertà nelle mani del giocatore
A fine 2014 la strega di Umbra si presenta su Wii U, riproponendoci le gesta che l’hanno resa un simbolo della generazione PS360: i possessori della controversa home console Nintendo, a cominciare dal sottoscritto, non possono che esserne lieti.
Per coloro che negli ultimi cinque anni sono rimasti al sicuro in una bolla nintendara basti sapere che Bayonetta è l’opera definitiva di Hideki Kamiya, geniale game designer e director che nel 2001 prese per i capelli un genere morente come quello degli action/beat ‘em up e gli diede nuova vita, regalandoci l’eccezionale Devil May Cry – tutt’ora uno dei titoli preferiti nella mia softeca – e generando al tempo stesso un nuovo archetipo videoludico: lo Stylish Action Game.
Il giocatore non aveva più semplicemente il compito di ripulire i livelli, ma anche di farlo nel modo più spettacolare possibile e sfruttando il maggior numero di strumenti a propria disposizione: l’abilità nel massimizzare questi elementi era parte integrante dell’esperienza, facendo la differenza anche in termini di punteggio e risorse ottenute per lo sviluppo del personaggio.
Era nato un nuovo genere che permetteva al giocatore di compiere gesta simili a quelle che fino a quel momento si potevano intravedere solo nelle cutscene: una vera e propria iniezione di adrenalina poligonale.
Bayonetta porta al limite questi dogmi, offrendo un’esperienza di inizialmente rarefatta per poi incalzare, in brevissimo tempo, il giocatore con un continuo susseguirsi di sfide di diverso tipo: sebbene a conti fatti ci si riduca a fare poltiglia di qualsiasi cosa finisca nella nostra visuale, la varietà dei nemici e le continue digressioni dai binari classici – spesso prendendoci di sorpresa – caratterizzano un titolo che non ha nessun timore di essere lineare e, anzi, ne fa uno dei suoi punti di forza, studiando ogni sequenza affinché lo scorrere del gioco non risulti mai ripetitivo.
L’impatto iniziale è quasi frastornante, in quanto si viene catapultati in eventi difficilmente comprensibili senza le giuste informazioni, con il compito di menare le mani e sfruttare l’abilità peculiare della nostra affascinante strega, ovvero il Witch Time (Sabbat Temporale in italiano… sigh). Tale potere le permette, schivando gli attacchi nemici all’ultimo istante possibile, di rallentare il tempo per qualche secondo, guadagnando quindi un determinante vantaggio negli scontri.
La capacità del giocatore di interpretare i pattern dei nemici e anticipare le loro mosse, quindi, permette di diventare letteralmente inarrestabili, tenendo però presente però che nel prosieguo de gioco vi sono situazioni in cui questa abilità viene limitata o del tutto annullata. Diventa fondamentale quindi padroneggiare l’arsenale a disposizione: partendo da due coppie di pistole (equipaggiate su mani e piedi) e raccogliendo gli LP sparsi nel gioco, si accede ad una varietà di armi considerevole, che comprende spade, fruste, nunchaku, bazooka, pattini da ghiaccio (!), etc. Se a questo aggiungiamo la possibilità di abbinarle a coppie e poter alternare in tempo reale due set di armi, ci si rende conto della vastità e profondità del combat system.
La prontezza e i riflessi sono importantissimi, in quanto il gioco è studiato per tenere costantemente sull’attenti il giocatore: che si tratti di un QTE, un improvviso mini-boss o di un pericolo imminente da affrontare fuggendo e non combattendo (sta al giocatore capirlo per tempo) la sostanza non cambia ed è necessario non sottovalutare mai nulla, nemmeno una cutscene in cui viene introdotto un nemico… che solitamente piomba addosso all’avatar del giocatore proprio al termine della stessa.
Quello che separa Bayonetta dagli altri action in terza persona è la dimensione dei boss e le meccaniche necessarie a sconfiggerli: a parte i duelli con la pericolosa e stranamente affine nemesi della nostra strega, in tutti gli atri casi si affrontano creature gigantesche che richiedono di completare diverse fasi e, spesso, interagire con l’ambiente, in scontri che contemplano l’uso del combattimento classico, dei QTE e il superamento di sessioni di gameplay alternativo create ad hoc.
Capiterà dunque di morire perché non si coglie al volo cosa ci venga richiesto dal gioco, andando a volte a sfiorare il concetto di trial and error, soprattutto se chi è al pad non è esperto e/o naturalmente incline al genere. La cosa, tra l’altro, non si limita ai boss, ma è caratteristica di diversi momenti di gioco. Aggiungendo a ciò la presenza di brevi momenti in stile escort mission, sessioni sparatutto (e non mi riferisco a livello ispirato a Space Harrier) e situazioni in cui si è costretti a difendersi interagendo esclusivamente con gli elementi del fondale, è chiaro come il titolo non risulti mai banale.
Il viaggio di Bayonetta alla scoperta del suo passato (cliché, non ricorda niente) è costellato di personaggi carismatici e sopra le righe, indispensabili per tenere testa all’atteggiamento strafottente della nostra eroina che trova massima espressione, oltre che nelle cutscene sensualmente ridicole, nei Torture Attack, attacchi speciali attivabili riempiendo la barra della “magia” che pongono gli angeli nemici in vere e proprie macchine da tortura medievale – con un tocco di compiaciuto sadismo da parte della strega – infliggendogli danni considerevoli.
Non abbiamo parlato a sproposito di angeli: il cammino tra le trame concertate attorno alla protagonista vede un continuo susseguirsi di scontri contro le creature del paradiso, che si pongono come ostacolo e al tempo stesso, sospettosamente, accettano la sconfitta in nome di un bene superiore. Per affrontare queste potentissime orde, la Strega di Umbra può evocare demoni grazie al potere dei propri capelli: questi infatti non solo ricoprono il suo corpo come un vestito e possono prendere forma, quando necessario, di giganteschi pugni e calci, ma servono a soggiogare e controllare le creature degli inferi chiamate in aiuto per porre fine agli scontri più impegnativi.
La storia a tratti sembra volerci mostrare una crescita, un’evoluzione del personaggio attraverso gli eventi e le interazioni con i comprimari ma, un po’ per la debolezza della trama e in parte per la saggia decisione di non snaturare mai il personaggio, ci offre una narrazione esilarante e tambureggiante, in cui i legami che si vengono a creare con il partner maschile e la rivale non vanno in alcun modo ad intaccare la goliardia e l’eccentricità di Bayonetta: dal primo all’ultimo duello vi sembrerà di vivere in blockbuster americano scritto a quattro mani da John Woo e Michael Bay – ma su misura per il pubblico giapponese – con numerose citazioni del mondo videoludico (leggendaria “Flock off, feather face!” presa dal primo Devil May Cry) che vi strapperanno più di un ghigno di approvazione.
Trovare dei difetti ad un titolo come questo è davvero difficile: sì, i due livelli citazionisti dell’era arcade Sega sono probabilmente troppo lunghi, forse c’è un eccessivo riciclo di aree di gioco e boss e capita, ogni tanto, che il sistema di lock e la telecamera si scontrino con le necessità del giocatore, ma si tratta nel complesso di gocce in un meraviglioso oceano fatto di gameplay rifinito al pixel.
Forse il difetto principale di Bayonetta è il suo essere un gioco non adatto a tutti, andando a strizzare l’occhio ad una categoria di gamer che è stata coccolata come non mai a cavallo tra l’era PS2 e Ps3, ma che ora fatica a trovare titoli degni di nota da mettere sotto i denti.
In ogni caso parliamo di un titolo con una grafica fantastica a 60fps e un audio sempre sul pezzo e stilisticamente ricercato, che porta la rigiocabilità a livelli estremi grazie alla sua struttura a livelli e il sistema di valutazione che spinge costantemente a migliorarsi. Ad una prima run, senza conoscere le malizie del gioco, si possono accumulare tra le 8 e le 10 ore circa, che aumentano esponenzialmente nel momento in cui si cerchi una nuova sfida ad un livello di difficoltà più alto o si ceda allo spirito del completista: i segreti e gli sbloccabili non mancano di certo.
A conti fatti Bayonetta era un capolavoro nel 2010 e lo è tutt’ora, sia perché nel frattempo nessun titolo è riuscito a metterne in discussione la supremazia nel genere, ma anche – e soprattutto – perché il sistema di gioco non ha risentito minimamente del passare del tempo, grazie alla sua velocità e l’incredibile precisione che lo rendono ben più attuale di tanti titoli presenti sul mercato.
Considerando anche il simpatico (e opzionale) inserimento dei costumi Nintendo e le modalità semplificate che sfruttano il touch screen, ci troviamo di fronte ad un perfetto punto di partenza per tutti quei giocatori che non hanno mai voluto impegnarsi in questa tipologia di gioco o che, avendo posseduto Wii nella scorsa generazione, non ne hanno proprio avuto l’occasione.