Hometown Story era originariamente chiamato “Project Happiness”, un nome che dichiarava l’intento di diffondere gioia e felicità mediante il gioco.
Le buone premesse per riuscire nel nobile intento c’erano tutte: lo stesso creatore della popolare serie di Harvest Moon, un mondo popolato da adorabili personaggi e la possibilità di gestire ed arredare un negozio come si preferisce, il tutto potenzialmente ben mixato per donare relax e spensieratezza al giocatore.
Il risultato purtroppo è stato ben diverso e l’emozione che prevale giocandolo è la frustrazione.
Nei primi momenti di Hometown Story si scopre subito il motivo per cui ci troviamo a tornare nella nostra città natale: la nonna ci ha lasciato in eredità un negozio da gestire, e apparentemente anche un adorabile animaletto volante di nome Pochica, che è solito seguirci ovunque svolazzando.
Nei primi minuti perciò apprendiamo subito come lavorare: disponiamo i primi banconi, mettiamo in vendita i primi oggetti e decidiamo i prezzi.
Gnam, cibo
I lati negativi emergono perciò praticamente da subito: il sistema è estremamente scomodo fin dai primi istanti: i comandi sono poco intuitivi, si può disporre un singolo oggetto su ogni bancone e solo se si è posti nella precisa posizione di fronte al tavolo stesso, il prezzo va deciso per ogni diverso articolo e non si può memorizzare. Se si decide di vendere sempre e solo formaggio, ogni singolo pezzo dovrà ricevere la sua posizione e il suo prezzo. Non sia mai che all’improvviso decidiate di triplicarne il costo, per sfizio.
Nonostante le difficoltà iniziali, pian piano si prende la mano con la gestione del nostro negozietto: i clienti non mancano e fare soldi è piuttosto facile.
Beh ok, contento tu.
Procurarci gli oggetti da vendere è tutta un’altra questione.
Non produciamo nulla di nostro, possiamo solo pescare (e solo nella versione Europea, in America e in Giappone neppure questo era concesso), raccogliere occasionali funghi ed erbe, oppure affidarci a pescatori, contadini ed artigiani vari che ci vendono le loro merci.
Il nostro ruolo in pratica è di intermediari: compriamo e rivendiamo. Compriamo e rivendiamo. I cittadini sembrano accettare un sovrapprezzo di 40 monete su ogni articolo senza troppi problemi, per cui il nostro gruzzolo sale abbastanza rapidamente, fino a farci desiderare di investire i tanto sudati risparmi.
Le possibilità non sono molte però, per non dire quasi nulle: possiamo allargare il nostro negozio, per poter disporre più banchi (d’altronde visto che un singolo uovo ne occupa uno intero, è una necessità piuttosto impellente), ma ciò richiede di avere in città i carpentieri e di possedere sufficienti materiali, i quali ci vengono venduti da un anziano signore ogni giorno, in maniera totalmente random. Potreste perciò riuscirci al terzo giorno, come dopo numeroso tempo.
Possiamo inoltre decorarlo con nuovi tavoli o nuova carta da parati, ma anche in questo caso siamo legati alle decisioni del nostro venditore: ciò che ci porta ogni giorno è tutto ciò che possiamo avere, e guai a mancare l’incontro con lui alle 14 del pomeriggio.
La domanda che sorge spontanea dunque è : qual è lo scopo del gioco, se non fare soldi?
C’è tutto un mondo al di fuori del nostro negozietto, popolato da personaggi con più o meno carisma e più o meno cose da dirci, e uscire è necessario per progredire nella trama.
Lo spaventapasseri ha carisma, incredibilmente
Possiamo andare a girovagare in qualsiasi momento, ricordandoci di tornare ogni tanto per far pagare i clienti in fila alla cassa, ed anzi trovarne diversi in attesa del pagamento ci fornisce anche un bonus extra: probabilmente non la realistica situazione che si verrebbe a creare abbandonando a se stessi decine di oggetti in vendita.
La mappa è discretamente vasta, anche se caotica, e include delle misteriose rovine, una spiaggia, un fiume e una foresta, nonché numerosi personaggi che camminano (o per meglio dire fluttuano ad un’incredibile velocità) nelle varie zone, e che se fermati ed interpellati vi ripeteranno un paio di frasi.
Gli ambienti non sono male, ma i colori vivaci sono visibili solo con il bel tempo, che ho avuto l’occasione di ammirare unicamente nel primo giorno di gioco: da lì in poi è stato nuvoloso o ha piovuto OGNI giorno ed il tutto è diventato grigio ed un po’ piatto.Il cielo era totalmente grigio senza sfumature, cosa che è accaduta in due diversi save-game, ma può comunque rimanere mia personale sfortuna meteorologica.
Ci sono anche personaggi con un po’ più di spessore con cui interagire: incontreremo Rachael che gestisce un ristorante, Cling e Clang i fabbri, e poi il sindaco con la sua famiglia, agricoltori, pescatori, una streghetta con un altro animaletto volante…
Tutti loro ci propongono delle quest da realizzare, che generalmente consistono nel mettere in vendita un determinato oggetto, o consegnarlo loro: il limite però è sempre lo stesso, e cioè non sapere quali oggetti random potremo avere quel determinato giorno. Come se non bastasse, alcune quest si ripetono, e se svolte portano alle stesse identiche cut-scene.
Il tutto porta comunque allo svilupparsi della trama, se davvero così si può chiamare, un po’ grazie ai nostri sforzi un po’ naturalmente con lo scorrere del tempo, ma non c’è nessun personaggio che mostri davvero sufficiente spessore da essere interessante,e la maggior parte degli avvenimenti possono solo lasciarci indifferenti o sinceramente perplessi per l’assurdità della situazione.
La bellona del villaggio
Non si riesce insomma ad affezionarsi a sufficienza ai nostri vicini, elemento praticamente indispensabile in un gioco come questo, nel quali le relazioni con gli npc (oltre ai soldi) sono praticamente il cardine del gameplay. L’elemento di totale casualità nel riuscire o no a svolgere le missioni che ci propongono, inoltre, allunga oltremodo i tempi: potrebbero volerci giorni per riuscire a vedere come evolverà la situazione.
La grafica degli ambienti non appare particolarmente curata, mentre i personaggini nei dialoghi sono visivamente adorabili e ben caratterizzati, cosa che purtroppo non si può dire delle loro personalità.
Le musiche sono orecchiabili e piacevoli all’inizio, ma rimangono sempre le stesse, ed ascoltare a loop quella nel negozio diviene velocemente frustrante a livelli inimmaginabili.
Vanno inoltre a malincuore segnalati diversi glitch: a volte il gioco si carica in maniera del tutto errata e risulta tutto grigio, con l’eccezione di pochi elementi come la testa del protagonista, il che dona un effetto creepy fino al necessario riavvio. Altre volte è possibile che si blocchi il pulsante azione, costringendovi allo stesso modo a chiudere e riaprire.
Ehm sì, non noto problemi…
Hometown Story presenta, in definitiva, più possibilità di personalizzare l’aspetto del nostro protagonista scegliendo capelli, occhi e carnagione che effettive possibilità di variare il gameplay.
Come siamo carini!
La beffa finale è rappresentata dal fatto che sulla mappa saremo rappresentati comunque come il personaggio “originale” non personalizzato, ovvero una biondina con i riccioli o un ragazzino con i capelli rossi ispidi: non che sia fondamentale avere la nostra icona personalizzata come da nostra scelta, ma è certamente un elemento di poca cura, e può inizialmente confonderci sulla nostra effettiva posizione negli ambienti.
Non si può non pensare che questo titolo sia, in effetti, uno spreco totale, una buona idea di partenza, possibilmente piacevole ed apprezzabile, realizzata in maniera sciatta e senza un briciolo di originalità.
Va però ammesso che le prime ore di gioco passano abbastanza velocemente, poiché è facile all’inizio appassionarsi al ripetitivo ciclo di acquisto-vendita-acquisto, specialmente per gli appassionati dei gestionali. Purtroppo l’entusiasmo svanisce in genere abbastanza presto, e resta un mondo abbastanza vuoto e desolato.
Il prezzo di vendita sull’eShop (29,90 €) non migliora la situazione.
Un vero peccato.