Nuovi dettagli su Watch Dogs

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In una lunga intervista rilasciata a Gamespot, il Creative Director di Watch Dogs Jonathan Morin, ha diffusamente parlato di svariati aspetti del gioco e di alcuni retroscena dello sviluppo.

La genesi del gioco, spiega Morin, risale al 2009, quando fu creato un team interno di Ubisoft a cui venne data una sola direttiva precisa: creare un gioco open world in ambiente urbano. Discutendo del tema portante del gioco, uno degli argomenti più interessanti emersi riguardava l’impatto della tecnologia sulla vita di tutti i giorni. All’epoca la diffusione dei device mobili come smatrphone e tablet era ancora molto limitata e, inconsapevolmente, il team ha intrapreso una strada che avrebbe portato ad un argomento molto attuale al giorno d’oggi: l’invadenza della tecnologia con i conseguenti problemi di privacy che ne derivano.
Intrapresa questa strada, l’evoluzione naturale è stata quella di rendere lo smartphone del protagonista, insieme alla possibilità di sorvegliare ogni angolo della città, il cuore del gioco.

Morin assicura che l’azione rivestirà un ruolo importante nel gioco, tra sparatorie, inseguimenti in auto e un intero esercito di guardie, più o meno, corazzate con cui far i conti, ma si finirà più spesso per impugnare lo smartphone che la pistola. L’hacking sarà un elemento costantemente presente durante il gioco: Aiden potrà controllare telecamere e semafori, hackerare dreni volanti, alzare e abbassare piloni di accesso alle strade, violare la privacy di qualsiasi NPC incontrerà per strada, ascoltare le loro telefonate e intercettarne i messaggi. Proprio a causa di questo utilizzo intensivo ed estensivo, l’hacking è stato reso il più semplice ed immediato possibile: la maggior parte delle volte sarà possibile farlo con la semplice pressione di un tasto. Il gioco è anche stato costruito in maniera che l’attenzione sia immediatamente attirata su gli oggetti con i quali è possibile interagire e ci saranno molteplici modi di affrontare una stessa situazione. Il team ha anche cercato di mantenere le cose il più possibile credibili: a tal proposito, Morin spiega che si sono avvalsi della consulenza di Kaspersky per assicurarsi che le varie possibilità di hacking non risultassero troppo strane o inverosimili.

Se l’hacking è stato reso intenzionalmente semplice e immediato, diverso il discorso per quanto riguarda l’IA del gioco. Il  lead designer Danny Belanger spiega che il giocatore non deve sentire di aver già vinto con la semplice pressione di un tasto. L’hacking apre al giocatore una finestra di possibilità, ma il giocatore deve aspettarsi una risposta aggressiva dell’IA a cui, di rimando, può essere risposto con un altro hacking: è tutta una questione di offrire al giocatore un bilanciamento tra rischio e ricompensa. Abbiamo lavorato duramente per rendere i nemici scaltri e aggressivi: saranno, ad esempio in grado di capire la differenza tra un evento casuale e uno sospetto: una guardia colpita da un improvviso sfogo di vapore uscito da una tubatura è un conto; lo stesso avvenimento seguito da un incidente stradale e un black out è una cosa completamente differente.
I giocatori devono imparare a rispettare l’IA, conclude Belanger: se un approccio da sparatutto funzionasse sempre, quale stimolo si avrebbe a fermarsi e pensare a un approccio stealth o quali dispositivi hackerare? Vogliamo che il giocatore impari a temere le reazioni dei nemici e agisca dunque di conseguenza.

Potete leggere l’intervista completa seguendo il link qui sotto.

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