Luigi’s Mansion 2 – Il producer del gioco e il fondatore di Next Level Games parlano del rapporto esclusivo con Nintendo

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Luigi’s Mansion 2

è forse una delle più belle sorprese di questo 2013, capace di migliorare in ogni sua parte quella piccola perla che fu il suo predecessore, presente al lancio di Gamecube.

Quello che forse non tutti sanno, però, è che lo studio responsabile del titolo – Next Level Games – non è un team interno Nintendo nè tanto meno una “second party” come Retro Studios e/o Monolith.

Nonostante questo, dall’intervista che Gamasutra ci offre, possiamo vedere come la realtà della software house sia comunque stretta a doppio filo a quella di Nintendo: non per questioni economiche o di esclusività, ma piuttosto per la qualità e la bontà della collaborazione lavorativa.

Leggiamo in dettaglio cosa pensano Jason Carr (co-fondatore di Next Level Games) e Ken Yeeloy (producer di Luigi’s Mansion 2).

Come producer, lavori direttamente con Nintendo e ti relazioni con i loro producers interni?

Ken Yeeloy: sì, esattamente

Sono curiososo di sapere come funziona questo rapporto, dalla tua prospettiva

KY: È divertente. In un’altra intervista avevo parlato di come la gente percepisse Nintendo come un’unica grossa entità. In realtà a livello produttivo ci sono numerosi team e alcuni lavorano in maniera profondamente diversa.

Quindi l’esperienza vissuta con l’ultimo progetto è davvero differente dalle precedenti tre perché il gruppo, creativo e di produzione, di Nintendo era un altro.
Era chiaramente differente ed è stato necessario sopperire alle differenze culturali e al modo di lavorare. Bisogna imparare a ballare con loro..

Nelle precedenti esperienze, come Mario Strikers o Punch Out!! si era riusciti a entrare in sintonia e in questo caso abbiamo dovuto imparare nuove cose. Si impara sempre dalle esperienze precedenti, rendendo più facile il lavoro con i nuovi partner. Ma devi comunque darti da fare per imparare le nuove meccaniche.

È la stabilità del lavoro ad attirarvi o è il fatto stesso che si tratti di Nintendo? Avete fatto giochi davvero nel loro stile.

Jason Carr: Sì. Appena aperta la compagnia, circa 10 anni fa, abbiamo lavorato su NHL Hitz per Midway ed era un titolo hockey davvero arcade. I canadesi come noi non hanno problemi con l’hockey, l’abbiamo nel sangue.

Tutto quello su cui ci concentravamo era relativo al gameplay: non si trattava di un RPG massicio con forte componente narrativa. Dipendeva tutto dalle sensazioni che provavamo pad alla mano, capisci cosa intendo? Nintendo ha un approccio decisamente simile. Quindi effettivamente amiamo fare quel tipo di giochi, quindi calziamo bene.

E sì, la stabilià a sua volta. Mentirei se dicessi: “Oh, vogliamo lanciarci allo sbaraglio!” Ci sono un sacco di benefici derivanti dal lavorare con una first party. Nintendo è grandiosa. Ti lasciano il tempo di fare le cose come si deve. Hanno fatto molto bene – il Wii ha avuto successo, il DS ha avuto successo, il Wii U non ha cominciato bene ma siamo sicuri che troveranno il modo per rimettersi in corsa e il 3DS è una piattaforma fantastica su cui lavorare.

Direi che sono entrambe le cose a contare.

Ormai è diverso tempo che fate giochi per Nintendo

JC: Circa una decina d’anni.

Siete passati da vecchi franchise a prodotti nuovi. Per Mario Strikers [realizzati entrambi da NLG su Gamecube e Wii], Nintendo è venuta da voi chiedendovi di realizzare un gioco di calcio? 

KY: Volevano realizzare un gioco di calcio internamente. Volevano un gioco di calcio di Mario. Hanno apprezzato molto un titolo come Soccer Slam e hanno pensato di realizzarne altri simili, sempre sulla linea arcade, non simulativi. E semplicemente hanno cercato lo sviluppatore giusto per quel lavoro. Ecco come è andata

JC: Molti dei nostri sviluppatori arrivano proprio da Black Box [gli autori di Soccer Slam] quando questa venne acquisita da EA. È vero, eravamo una nuova software house, ma eravamo comunque “quelli di Soccer Slam”, anche se non si trattava di un titolo sviluppato da Next Level.

È interessante come sia stata Nintendo a contattarvi… è proprio nel loro stile: non hanno cercato il nome, ma le persone.

KY: Sì, assolutamente. Sapevano che avevano bisogno delle persone, non dell’azienda. Il quel preciso momento storico un sacco di aziende nel settore nascevano, venivano comprate, ricostruite, vendute.
Un continuo ricambio.

JC: Come hai detto, per loro contano le persone, davvero. Abbiamo notato come i loro producer siano persone che spesso hanno lavorato alla creazione di contenuti o di elementi artistici per poi passare a ruoli differenti per far sì che siano le menti creative a prendere le decisioni.

Gran parte dei publisher americani con cui abbiamo lavorato avevano un background limitato al settore. Sono quelli che gestiscono soldi.
È bello lavorare con gente che è in grado di capire cosa ci sia dietro alla creazione e al design di un gioco piuttosto che qualcuno che si limita a controllare le scadenze.

Sono anche molto responsabili, dal lato finanziario, con le loro date di lancio e sono molto riservati, come avete potuto imparare in questi anni. Però, ragazzi, è fenomenale lavorare con gente che ne capisce di gameplay, di giochi, di esperienze ludiche, etc.

KY: Quando lavoriamo con loro è strettamente per il gioco, durante tutta la durata del processo. Ovviamente si parla anche della produzione, ma il fulcro rimane sempre quello di realizzare un titolo di qualità, non certo quanto tempo e soldi ti richiederà farlo.

Avete mai pensato di lavorare con altri?

JC: Abbiamo lavorato con molte altre compagnie in precedenza e siamo davvero contenti del nostro rapporto con Nintendo. Non c’è motivo di guardarsi in giro. Ci danno IP sempre migliori su cui lavorare e finché continueremo a fare il nostro lavoro realizzando buoni giochi per loro non c’è motivo di avventurarsi altrove.

Siamo ancora un piccolo gruppo. Siamo sotto i 70 componenti. Ci sta bene. Perché dovremmo parlare con altri? Cosa comporterebbe per il nostro business? I membri dell’azienda sono davvero orgogliosi del gruppo e dei titoli su cui lavoriamo.

E poi, la stabilità.

JC: Proporzionalmente al settore.

Comunque possiamo dire che avete trovato una certa stabilità e che il grado di soddisfazione lavorativa all’interno dello studio sia alto, cosa di certo non comune in questo campo.

JC: Appena abbiamo incominciato, volevamo realizzare giochi divertenti. I publisher erano solo dei capi e non avevamo controllo su quello.

La cosa più importante per noi, specialmente con il passare del tempo e col formarsi di famiglie, era costruire qualcosa che ci permettesse di realizzare giochi e non far fuori persone. Non volevamo perdere tempo ma nemmeno che il lavoro diventasse preponderante nelle nostre vite: c’è altro oltre a realizzare vidoegiochi.

E molti dei ragazzi, quando arrivano a lavoro, sono freschi, coinvolti, eccitati. Vogliono venire a lavoro, non vengono trascinati. Ha funzionato davvero bene ed è il tipo di posto dove la gente vuole stare: non tutto il tempo, ma quando sono qui , sono contenti.

Miyamoto chiede spesso: “Il team si sta divertendo? Si diverte nel realizzare il gioco?” È davvero importante che il team sia soddisfatto di quello che fa perché concordo con chi dice che il tuo stato d’animo si riflette nel tuo lavoro. Come pretendi di realizzare giochi Nintendo divertenti se non ti stai divertendo nel farli?

Sushi gratis e massaggi alla schiena.

JC: Sì. E non fraintendetemi, anche qui ci sono le serate in cui si tira fino a notte e, in ogni caso, sono video games. Ma non siamo qui per convincere la gente a rimanere nello studio per molte ore.

KY: Abbiamo lavorato in prospettiva. Quando sono arrivato in azienda il motivo era consolidare. Avevano una visione della cultura, di quale fosse la visione trasmessa dalla compagnia. Penso che ci occupiamo maggiormente delle persone.

Per noi questo non significa dare roba alle persone. Questo non è occuparsi di loro. Bisogna prestare attenzione a quello che ti soddisfa. Cosa vuoi fare? La tua famiglia e le altre cose. E lavorare tentando di bilanciare tutte queste cose è quello che fa sì che la gente voglia rimanere qua e sia coinvolta.

E se guardi ad EA… beh. EA ha una palestra, EA ha il cibo gratis, EA ha i massagi. Beh, non abbiamo tutto questo, ma abbiamo persone che sono dedite e a cui piace il loro lavoro e sono felici. È interessante perché non è facile determinare quando una persona è felice e cosa serve per arrivare a quel risultato.

Volete crescere o siete soddisfatti della vostra condizione attuale?

JC: Siamo cresciuti fin ad un certo punto. Siamo arrivati a comprendere 4 team, un totale di circa 115/120 persone. Ci siamo dispersi eccessivamente. Dagli altri sviluppatori sentivamo consigli del tipo: “Dovete avere almeno tre team, è il numero perfetto, bla bla bla.” ma lo era solo dal punto di vista finanziario.

Abbiamo sviluppato titoli orrendi. Non era divertente. Non sapevo neanche il nome delle persone con cui lavoravo. Abbiamo perso parte della cultura familiare, non è stato positivo per noi. Siamo scesi a due team, abbiamo ridotto ancora fino ad arrivare a circa 70 persone… dipende dal titolo, giusto? Negli ultimi tempi questo numero è la metà di quello di una normale compagnia.

Davvero non ho interesse a crescere. Se ci fosse una crescita sarebbe minima e solo per sopperire ad una necessità dettata da un progetto che richiede più persone. E molto spesso c’è una tale concentrazione di talenti a Vancoover da poter sopperire ad eventuali bisogni.

Siete arrivati ad un punto in cui siete contenti della filosofia all’interno del vostro team. Un sacco di persone stanno aprendo nuovi studi ora. Cosa volete dirgli?

JC: Oh dio.

KY: È bene che abbiate una visione chiara delle cose e che ne siate coerenti. E che il 110% di chi gestisce l’azienda ci creda al 100%. Niente finzione, niente cazzate: non professate un’idea per poi agire diversamente. Perché essere coerenti al 100% ogni giorni e in ogni cosa è l’unico modo per scoprire in fretta chi vi prende per i fondelli. Basta una sola persona che non crede alla causa per rovinare tutto. Non realizzerete niente.

JC: Assolutamente d’accordo. Il punto principale è l’ego. Abbandonato l’ego. Puoi pensare di essere il migliore del gruppo, ma non funziona così. Il modo in cui gestiamo le cose parte dal basso. I producers aiutano le persone nel lavoro, gli portano il caffè se ne hanno bisogno… non danno ordini. È contagioso, qualcuno deve dare il buon esempio.
Se ci sono persone con un ego fuori controllo, c’è il rischio che vada tutto a fondo.

Fonte: Gamasutra

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